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Ripensare la reclusione volontaria

Presentazione volumi

Il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus in collaborazione con la Fondazione per le Scienze Religiose, l’Institute of Mediaeval Studies of the University of St Andrews, il Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università degli studi di Udine, la casa editrice il Mulino, la rivista “Quaderni di Storia religiosa medievale”  organizza la presentazione dei volumi realizzati con il finanziamento “European Union’s Horizon 2020 Research and Innovation programme” (Marie Sklodowska – Curie Grant Agreement N ° 751526):

Ripensare la reclusione volontaria nell’Europa medievale

QSRM 24/1-2 (2021)

Thomas Frank e Daniela Rando

ne parleranno

con le curatrici Frances Andrews ed Eleonora Rava

il 28 maggio 2022 alle ore 17.00

nel salone del Quattrocento del monastero di S. Rosa a Viterbo (via S. Rosa 33)

Per richiedere le credenziali al collegamento ZOOM clicca qui. Sarà disponibile anche la diretta YOUTUBE sul canale del CSSRV.

Arte e scrittura

Un corso autunnale in memoria di Chiara Frugoni

Quasi un mese fa veniva a mancare Chiara Frugoni, che poco tempo prima aveva risposto con il suo consueto entusiasmo e passione, rendendosi disponibile a partecipare a un’iniziativa formativa promossa dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo: il corso “Arte e scrittura”.

Per questo abbiamo deciso di dedicare questo seminario a Chiara e di trasformare la lezione ‘della’ Frugoni in una lezione ‘sulla’ Frugoni. Di seguito trovate la presentazione del corso, che orientativamente si svolgerà nel prossimo autunno in doppia modalità: online e in presenza presso l’Istituto Norvegese a Roma.  

Maggiori dettagli sulle date e sulle modalità di iscrizione saranno pubblicati alla fine dell’estate.

Armida Barelli

In occasione della beatificazione di Armida Barelli, 30 aprile 2022, vi proponiamo un contributo di Marcella Serafini (Istituto teologico d’Assisi), che ha tenuto anche un intervento presso il santuario di S. Rosa a Viterbo il 3 marzo 2022. Qui il video della conferenza.

Francescana, laica, appassionata

C’è un legame profondo e significativo che congiunge Armida Barelli (1882-1952) alla città di Viterbo e alla sua patrona santa Rosa, un legame che si fonda nella comune ispirazione francescana e si traduce per entrambe in apostolato laico, passione civile. L’amicizia con Dio, intensamente vissuta, porta entrambe a vivere la propria umanità nel dono totale, osando con l’audacia dell’amore. C’è anche un altro tassello che congiunge in modo indissolubile Armida alla città di Viterbo: la Gioventù Femminile di Azione Cattolica (GF); è proprio nella chiesa di santa Rosa, infatti, che nel 1868 matura nel giovane viterbese Mario Fani, allora ventitreenne, l’intuizione dell’Azione Cattolica.

Grazie a santa Rosa, a cui era particolarmente affezionata a motivo della comune vocazione francescana, Armida frequenta spesso Viterbo: tiene incontri per la GF, sosta presso il Monastero – chiedendo l’intercessione della giovane santa – e si intrattiene con le monache.

La beatificazione di Armida Barelli, ormai prossima (il 30 aprile), è un dono che la città di Viterbo è chiamata ad accogliere come una responsabilità e un nuovo appello. Ma chi era Armida Barelli? Quale l’attualità della sua testimonianza?

Nata nel 1882 da una famiglia dell’alta borghesia milanese che le ha trasmesso senso del dovere e alti valori civili e morali, Armida mostra sin da bambina un carattere vivace e intraprendente, deciso e piuttosto insofferente verso le regole. È dotata di grandi capacità organizzative e di profonda sensibilità, come dimostra durante gli anni di permanenza presso il Collegio S. Croce di Menzingen, dove era stata mandata dalla famiglia per completare gli studi. Agli anni di collegio risalgono il primo incontro con la spiritualità francescana e con la devozione al S. Cuore.

Conclude gli studi nel 1900, con pieni voti, un’ottima formazione e la conoscenza di tre lingue; il suo progetto di vita è ben chiaro: “O sarò suor Elisabetta missionaria in Cina, oppure madre di dodici figli; ma zitella mai e poi mai!”.

Tale simpatica dichiarazione esprime con chiarezza il carattere della giovane, aperta a grandi ideali e poco incline ai compromessi; lo manifesta nei modi permessi dalla mentalità del tempo, che non prevedeva altra possibilità di vocazione oltre a quella religiosa e matrimoniale. Eppure Armida sarebbe stata pioniera di una strada nuova, inedita, di consacrazione a Dio per la missione, non attraverso la ‘fuga mundi’, ma cercando di colmare la distanza tra ambiti apparentemente opposti e inconciliabili: fede e mondo, religione e scienza, fede e cultura, religione e impegno politico-sociale, portando il mondo a Dio nella preghiera e Dio al mondo attraverso l’apostolato.

L’accoglienza di tale chiamata non è facile per Armida, che deve mediare tra i pregiudizi del tempo e le sue inclinazioni, talvolta incomprensibili persino a se stessa: il rifiuto sempre più consapevole delle proposte di matrimonio, l’attrazione irresistibile verso Dio, una predisposizione innata ad aiutare gli altri. Il suo cammino vocazionale – piuttosto lungo e tormentato – passa attraverso incertezze, crisi e combattimenti interiori, ma trova il sostegno unanime dei sacerdoti che hanno la grazia di accompagnarla.

L’incontro con p. Agostino Gemelli, avvenuto l’11 febbraio 1920, segna una svolta nella vita di Armida. Ella apprezza la concretezza e l’umanità di p. Gemelli; quest’ultimo, da parte sua, è colpito dal ‘candore’ e dalla determinazione della giovane, dal suo desiderio di apostolato, ma anche dalle notevoli capacità umane, organizzative e pragmatiche. Decide così di coinvolgerla nelle sue iniziative, affidandole alcune traduzioni per la Rivista di Filosofia Neoscolastica. Dopo l’incontro con p. Gemelli, tutte le esitazioni vocazionali di Armida scompaiono: entra nel Terz’Ordine Francescano e si consacra a Dio per l’apostolato nel mondo. La loro collaborazione diventa stabile e durerà per 42 anni, fino alla morte di Armida. Il primo frutto di tale azione comune è la consacrazione di soldati al S. Cuore, a cui fa seguito una intensa attività di formazione dei laici, attraverso l’Opera della Regalità, l’Opera Impiegate e una serie di opuscoli sulla liturgia. Una molteplicità di iniziative che scaturiscono da un ampio progetto di formazione cristiana dell’Italia, a tutti i livelli, dalla base (operai, laici, popolo) fino ai vertici intellettuali e politici. Il culmine di tale progetto è l’università Cattolica, inaugurata il 7 dicembre 1921.

Il ruolo di Armida Barelli nella costituzione dell’Ateneo va ben oltre la raccolta di fondi di cui ella è promotrice come cassiera, ma è strettamente legata alla sua straordinaria tenacia e grande fede, manifestata già nel contesto del Comitato fondatore. Ella ha dimostrato di saper sperare  contro ogni speranza e di credere fortemente nella possibilità di realizzazione di quest’opera, sebbene in assoluta povertà di mezzi, solo perché promessa e dedicata al S. Cuore. È merito esclusivo della fede di Armida Barelli se il nome e titolo dell’Ateneo – dedicato al S. Cuore – si sono concretizzati, secondo per una motivazione teologica ben precisa: “il S. Cuore è la sede di ogni sapienza e scienza”. Non è ingenuità, anche se a prima vista potrebbe sembrare, ma fede profonda, biblicamente e teologicamente fondata.

Il progetto culturale promosso in collaborazione con p. Gemelli, si coniuga perfettamente con l’altra impegnativa attività svolta da Armida Barelli nel fondare la Gioventù Femminile prima nella Diocesi di Milano, su richiesta del Card. Ferrari, e successivamente, su esplicita richiesta del Pontefice, di estenderla su tutto il territorio italiano. Armida, che si sente inadeguata per svariati motivi, avanza tutte le possibili obiezioni, ma poi, “solo per amore del Sacro Cuore” e per obbedienza alla Chiesa, accetta. Intraprende così un’opera che avrebbe favorito la formazione umana e cristiana, su tutto il territorio nazionale, di ragazze, e in seguito anche bambine, che altrimenti sarebbero state irraggiungibili dall’azione formativa dello Stato. Il modello antropologico e femminile trasmesso dalla GF costituisce un’alternativa efficace e significativa a quanto propagandato dal Fascismo, tanto da suscitare la preoccupazione del Regime stesso.  

Università, Gioventù Femminile e formazione dei laici, sono opere che Armida Barelli ha potuto realizzare perché radicata in Dio, centro unificatore del suo essere e operare. Questa sua attitudine si concretizza nel 1919, nella fondazione, insieme a p. Gemelli, di una comunità di consacrate secolari – un primo gruppo di dodici sorelle – che avrebbe preso in seguito il nome di Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo. Il nucleo di tale vocazione è sintetizzato da p. Gemelli con i termini consacrazione (totale appartenenza a Dio), secolare (operando nel mondo), secondo la spiritualità francescana.

L’indole francescana di Armida Barelli è una caratteristica ‘naturale’ di Armida Barelli, come testimoniano p. Gemelli e Maria Sticco. Quest’ultima, docente presso l’Università Cattolica e tra le prime consacrate dell’Istituto secolare da loro fondato, scrive pagine di estrema chiarezza: «In virtù della sua semplicità e fede mirava dritto al fine per la via più breve, non aveva complessi, non si ripiegava su se stessa, semplice e decisa, e perciò veramente libera. Libera da perplessità interiori, libera nelle circostanze, nulla la intimidiva. Libera dal mondo, non curava come frenanti i giudizi altrui. Libera dal dolore, lo considerava nell’amore di Dio a andava avanti. La spiritualità francescana, che corrispondeva alle sue tendenze naturali, lei la sovrannaturalizzò promuovendo la sua semplicità e fede in volontà dinamica e azione costante, che aveva centro vitale nella sua devozione al Sacro Cuore e alla Regalità di Cristo»[1].

Il nucleo centrale e motore della vita di Armida era l’amore con Dio e la comunione con lui, che ella raggiungeva, pur restando immersa nell’azione, attraverso una preghiera trasformante, che sotto i tratti della devozione nascondeva una intensa vita di comunione soprannaturale. Maria Sticco attesta che ella «viveva nella comunione dei santi. Come viveva fra gli uomini, così viveva fra i santi e li interpellava, parlava con loro, come con uomini in cammino»[2].

La preghiera vocale era per lei “avviamento alla contemplazione”: riusciva a vivere la contemplazione «nel cuore dell’azione, contemplazione senza visioni, senza estasi, contemplazione del suo Signore, del suo Cuore, del suo amore incomprensibile e immenso»[3]. La sua vita interiore “era un continuo colloquio con Dio”, semplice e confidenziale, lo sentiva presente in tutti i momenti e attività della giornata. Il lavoro era servizio di Dio e incontro con i fratelli; dalla consapevolezza di operare per i fratelli e quindi di amare i fratelli, obbedendo così al comando evangelico, nasceva la sua calma, l’ascolto attento, tranquillo, il «dominio sereno di sé»[4]. Questa unione continua con gli uomini e con Dio nel lavoro non escludeva il tempo dedicato unicamente alla preghiera; non identificava infatti preghiera e azione né sostituiva la preghiera con il lavoro. Non diceva “lavoro dunque prego”, ma  «nel mezzo del lavoro era sempre unita a Dio, nel cuore dell’azione pregava, avendo sempre vivo e presente nella fede e nell’amore la persona di Cristo»[5].

L’esperienza di Armida Barelli testimonia la bellezza di una vita spesa per Dio, nella limpida consapevolezza che chi si dona e affida a Lui non perde nulla ma tutto riceve. La sua missione incarna in modo sublime alcune predisposizioni della sua personalità, perfettamente armonizzate grazie alla spiritualità francescana, conosciuta grazie a p. Gemelli:

  • L’attitudine alla sintesi tra Dio e mondo, religione e cultura, raccoglimento e impegno socio-politico, preghiera e attività, contemplazione e azione; è un’attitudine a superare separatismi e divisioni per costruire ponti e custodire le relazioni.
  • L’importanza decisiva della formazione: Armida Barelli e p. Gemelli avevano capito il valore imprescindibile della formazione a tutti i livelli (culturale, civile e religioso), in tutti gli stati e condizioni di vita, per favorire dialogo e dinamismo. L’impegno civile e politico è finalizzato a trasformare in vita concreta la Regalità e il primato del S. Cuore.
  • La fiducia nel mondo giovanile, in particolare le ragazze, di cui ella si prendeva cura, attraverso l’ascolto attento e libero da pregiudizi, che consentiva di far emergere da loro doni, talenti, predisposizioni e capacità, dando loro fiducia anche nei casi di maggiore difficoltà.
  • L’intuizione della peculiarità del genio femminile, l’impegno decisivo nel percorso di promozione della donna attraverso l’attività formativa, associativa, di confronto, dialogo e impegno che – soprattutto in quegli anni – risultava profetica.
  • La necessità di una filosofia cristiana – che traduca in idee, mentalità e stile l’insegnamento evangelico – di un pensiero ‘sano’ a sostegno dell’azione, di una prospettiva antropologica che non sia riduttiva né trascuri alcunché di ciò che è umano.
  • Il valore decisivo della fede, quale tessuto connettivo della vita e della società, e della preghiera, antidoto contro la dispersione e la frammentarietà. La profonda vita interiore coltivata da Armida Barelli, la comunione costante con Dio alimentata nella preghiera, nei sacramenti e nell’adorazione eucaristica, sono il segreto della sua vita: della molteplicità di opere ma anche della pacatezza e forza d’animo, della calma e dell’equilibrio che la caratterizzano (raggiunti con un grande ‘lavoro’ interiore), della capacità di discernimento e di ascolto dell’altro, individuando qualità e talenti.
  • La ricchezza e fecondità, spirituale e umana, della spiritualità francescana, che ella incarna come un abito naturale, ma di cui p. Gemelli – che ne ha teorizzato e sintetizzato in modo eccellente i tratti nel volume Il Francescanesimo – l’ha resa cosciente.

Armida Barelli costituisce un esempio emblematico di santità laicale fuori dal chiostro e dagli spazi riservati. È testimone della santità radicale che nel Battesimo apre a tutti la possibilità della sequela di Cristo per farsi accanto a ogni persona nelle pieghe della storia. La dimensione religiosa unifica e indirizza tutte le sue dimensioni della sua vita e la qualifica come una tra le protagoniste più eminenti del rinnovamento spirituale che caratterizza la storia religiosa d’Italia nella prima metà del Novecento.

L’originalità di Armida Barelli consiste nella capacità di superare il contrasto tra la religiosità, vissuta come una serie di rinunce e privazioni, appesantita da un’ascesi ‘inumana’, e il profondo desiderio di Assoluto che le arde nel cuore. A motivo di questo suo profondo desiderio di Assoluto ha accolto con gioia la proposta di p. Gemelli di abbracciare la santità francescana, “la più alta e la più difficile, perché non uccide l’uomo, ma lo lascia vivere e lo fa santo nella sua qualità di uomo”.

Una santità appassionata e femminile che trova il suo fulcro nel Sacro Cuore: non si tratta di devozionismo ingenuo, ma di consapevolezza, teologicamente fondata nel dogma dell’Incarnazione, dell’assolutezza dell’amore divino, che è entrato nella storia, quotidianamente si fa storia e va reso presente nella cultura (nelle idee, nel modo di pensare e progettare), nella società e nella politica, per essere collaboratori e promuovere l’attuazione del Regno. Un modello di perfezione che affascina e attrae, perché non rifiuta nulla di ciò che è umano, ma francescanamente tutto rinnova e fa risplendere nella luce dell’amore divino. È questa santità quotidiana e laica capace di coniugare preghiera e azione, spiritualità e impegno, che Armida Barelli invita a riscoprire e valorizzare: una santità ‘in uscita’, che abbandoni la quiete delle sacrestie e scenda nelle piazze della politica, della cultura, della società, per evangelizzarli, coniugando e facendo dialogare Vangelo e mondo, preghiera e competenze professionali, superando le dicotomie. Una testimonianza che invita alla radicalità, alla riflessione e al serio discernimento, nella convinzione che il Vangelo promuove e perfeziona l’uomo, che ciò che è cristiano è anche pienamente umano, perché la grazia non distrugge ma perfeziona la natura.

Una spiritualità inclusiva e accogliente, luminosa, di ampio respiro, che porta il Vangelo nei luoghi dell’umano, fa risplendere il Regno di Dio nel Regno dell’uomo, che nell’amore abbraccia e trasfigura anche la sofferenza e il dolore. È forse questa la sintesi più radicale che Armida è riuscita a realizzare al culmine della sua vita, che ha raggiunto la piena verità nel dono totale delle propri fragilità, limiti e paure, superando, grazie alla fiducia nel Sacro Cuore, anche la paura più radicale e spaventosa, quella della morte, come testimonia p. Gemelli, che l’ha accompagnata anche in questo ultimo tratto di cammino:

La morte perde il suo orribile volto per creature così preparate dal Divino artefice; Armida Barelli quando con la mano mi salutò per l’ultima volta, poche ore prima di morire, sorrise. Forse il Signore le aveva già fatto capire che l’attendeva di lì a poco la gioia di vederlo faccia a faccia. Ed era questo il compenso di una vita spesa esclusivamente per lui[6].

L’esempio di Armida invita ancora oggi ogni battezzato a interrogarsi sulla propria chiamata a incarnare il Vangelo nelle pieghe della storia. Una storia piena di contraddizioni e incoerenze, ma già salvata, perché profondamente amata; una storia che, tuttavia, bisognosa di attualizzare e rendere operante questa salvezza, chiede ai cristiani di esserne artefici, diventando ‘artigiani’ di speranza, testimoni credibili del Regno[7].

 

[1] M. Sticco, I nostri Fondatori: due grandi francescani, in Sulle orme di Francesco, a cura del Consiglio centrale dell’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo, Roma 1981, 46.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Cf. ivi, p. 47.

[5] Cf. ibidem.

[6] Ivi, p. xli.

[7] Per approfondire: A. Picicco, Armida Barelli, Padova 2007; M. R. Del Genio, Armida Barelli. Un’esperienza di mistica apostolica laicale, Città del Vaticano 2002; Ead. Donne nuove. Armida Barelli tra le donne del suo tempo, Torino 2021; B. Pandolfi, Vivi una vita piena. Armida Barelli scrive ai giovani, Roma 2021; Ead., Armida Barelli. Una donna oltre i secoli. Con DVD, Roma 2014; M. Serafini (a c. di), Agostino Gemelli e Armida Barelli. Una sintesi francescana per l’Italia, sez. monografica della rivista Convivium Assisiense (XXIII/1 [2021]), Assisi 2021.

Un’altra curiosità su Armida e santa Rosa

Padre Pietro Messa ci ha segnalato questa citazione tratta da E. Preziosi, La zingara del buon Dio. Armida Barelli, storia di una donna che ha cambiato un’epoca, prefazione di papa Francesco, Cinisello Balsamo 2022, p. 176, nota 92:  
“Per il  santuario di Loreto Armida avrà un’attenzione speciale, tanto che vi è una cappella dedicata, la quinta laterale della navata destra, che nel 1933 fu decorata dal pittore Tino Ridolfi (1886-1956) con le giovani sante patrone della Gioventù Femminile: sant’Agnese, santa Rosa da Viterbo e santa Giovanna d’Arco, la beata Imelda Lambertini, Maria Bambina e santa Teresa del Bambin Gesù, nel 1953 sostituita, dopo la canonizzazione, da santa Maria Goretti”.
Un video della cappella dell’Immacolata nella Basilica lauretana – in cui s. Rosa da Viterbo è denominata erroneamente “da Lima” – in questo video.

In ricordo di Chiara Frugoni

Il 10 aprile 2022 è venuta a mancare Chiara Frugoni, una studiosa appassionata ma soprattutto un’amica generosa e sempre disponibile. Anche con il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo diverse sono state le collaborazioni. Per questo vogliamo ricondividere la presentazione online di uno dei suoi ultimi lavori, tenutasi il 21 maggio 2021: San Francesco in figura. La Legenda maior di Bonaventura nel manoscritto Antonianum 1. La vogliamo ricordare così con il suo consueto sorriso.

Per sentire Chiara Frugoni, si vada ad esempio al min. 0, 59′ 21” oppure al min. 1, 11′ 45”. 

Riprende il progetto Rose che sprigionano

Dopo il corso di formazione per volontari operanti negli istituti di pena, tenutosi in doppia modalità (in presenza e online) nei mesi di dicembre e gennaio, il 1° aprile riprende per la seconda volta con le persone detenute nella casa circondariale di Viterbo il progetto Rose che sprigionano, finanziato lo scorso anno dalla Regione Lazio (DGR 829/2020).

Il progetto intende promuovere attività tese a insegnare alle persone detenute lavorazioni artigianali tessili che possano garantire un accesso al mondo del lavoro, partendo dalle conoscenze e dalle pratiche che si svolgevano all’interno delle mura della clausura monastica. Proprio qui, infatti, si realizzavano fiori di stoffa e reliquiari con tecniche che utilizzavano materiali di tipo diverso (carta, stoffa, legno, ecc.), di cui rimangono nel monastero di Santa Rosa di Viterbo numerose attestazioni tra manufatti e materie prime che consentono di comprendere le metodologie di produzione adottate.

L’attenzione del laboratorio che si propone è focalizzata alla realizzazione di rose di stoffa. Esse potranno essere prodotte all’interno del carcere, utilizzando le tecniche antiche, per poi essere inserite nel circuito della produzione di oggetti devozionali legati al culto di santa Rosa, della finitura di abiti di sartoria e di complementi d’arredo. La rosa evoca la Santa viterbese, ma è anche simbolo di bellezza, cioè del motore che attiva quei processi che stimolano le qualità dell’essere umano che si gratifica attraverso il lavoro.

Il laboratorio ha come scopo quello di arricchire la formazione personale del detenuto attraverso percorsi esperienziali con valenza socioculturale; ma anche quello di favorire la libera espressione del detenuto, coinvolgendolo in un’attività di studio e ricerca.

Video tutorial per la realizzazione delle rose

Letture … frizzanti nel chiostro

Giornata nazionale per la promozione della lettura, 24 marzo 2022

I Convegni di studio sono capaci anche di questo. Portare alla luce una storia – o un frammento di storia – che prima non si conosceva, facendo emergere, dopo attente e non sempre agevoli ricerche, fatti del tutto inediti (o poco indagati) e persone dimenticate o almeno non molto note.

Questo è quanto è avvenuto a Viterbo lo scorso novembre, durante il Convegno Microstoria e storia della vita quotidiana dalla documentazione dei monasteri di clausura femminili (XV-XIX secc.): nello specifico, pratiche e strategie di lettura delle clarisse di S. Rosa sono state presentate svelando esempi concreti di vicende testimoniate tra i libri antichi a stampa usati dalla comunità religiosa lungo i secoli.

E non deve sorprendere se episodi anche insoliti hanno fatto capolino tra le pagine vissute, rendendo più curiose ed ‘effervescenti’ le letture del tempo, ma anche offrendo interessanti spunti per chi oggi si ritrova a sfogliare questi volumi.

È il caso di un’opera edita a Padova nel 1709, ovvero Delle lettere spirituali di san Francesco di Sales: l’edizione non sembra in Italia molto diffusa, tuttavia l’esemplare conservato a Viterbo riserva inaspettate sorprese.

In una delle pagine iniziali (per essere precisi: sulla carta di guardia anteriore) una monaca del Settecento ha voluto lasciare un segno del suo passaggio e a mano riporta, non senza qualche inesattezza grammaticale, questa annotazione:

Io Marianna

Capalti mano

propia e nissuno

se la propi, che que-

sto sì ch’è mio, mio,

nissuno me lo tocchi.

Un battibecco, che rende il tutto più gustoso, è però dietro l’angolo: poco tempo dopo Livia, una nipote di Marianna (al secolo: la zia Teresa), anche lei clarissa nel monastero di S. Rosa, utilizza la parte finale del medesimo libro (la carta di guardia posteriore) per precisare:

Io Livia Capalti

ò pregato istantemente

la zia Teresa

a non scrivere quel-

la falsità da capo

a questo libro, ma non

mi a voluto dare udien-

za, assolutamente l’à vo-

luto scrivere, sicché

abbino pazienza.

Insomma, piccole storie familiari, di monache ma soprattutto di lettrici, che hanno voluto quasi passarsi il testimone nell’uso e nella tutela – estremamente scrupolosa – di un volume a stampa, custode di contenuti spirituali da assaporare nello studio (nonché nella lettura personale) e da far propri.

Per concludere: ancora più caratteristiche appaiono le tre righe che un’altra mano ha fatto seguire alla dichiarazione di Livia: «E la sig.ra Lugrezia pare viterbese, per quanto pianta carote, capite?». Significati e allusioni sono con ogni evidenza da cercare altrove, ad esempio tra i documenti dell’archivio del monastero di S. Rosa… o forse più in là, oltre le grate della clausura.

FRANCESCO NOCCO

Corsi primaverili 2022

La Scuola di Paleografia e Storia e il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus continuano la loro attività formativa con nuove proposte. Nel prossimo trimestre sono programmate anche attività in presenza a Viterbo, che si affiancheranno ai corsi svolti secondo la consueta modalità online.
L’elenco dei corsi in partenza pubblicato qui di seguito sarà progressivamente aggiornato: i dettagli di ciascun corso saranno pubblicati circa un mese prima dell’inizio previsto e, dopo la pubblicazione, il titolo del corso si colorerà di rosso. Da questo momento in poi, cliccando su ciascun titolo, verrete reindirizzati alla pagina dedicata con tutte le informazioni sul programma, sul calendario e sulle modalità di iscrizione.

  • L’araldica come disciplina storica, a cura di Paola Monacchia: un corso in quattro lezioni per approcciare l’araldica come disciplina utilizzata nella ricerca storica e mostrare in modo pratico come descrivere uno stemma; si terrà dall’8 al 30 marzo 2022.
  • Paleografia Pratica Superiore 2022: tornano le lezioni di Paleografia Pratica Superiore, durante le quali diversi studiosi analizzeranno alcuni casi peculiari della scrittura latina medievale; gli incontri si terranno tutti i mercoledì dal 13 aprile al 15 giugno.
  • Laboratorio di Paleografia pratica e storia: rivolto agli studenti universitari dell’Università della Tuscia interessati a imparare a leggere testi e documenti originali in latino e in volgare del Medioevo e della prima età moderna; l’appuntamento è il giovedì dal 10 marzo al 1 giugno con due visite finali all’Archivio del Monastero di Santa Rosa di Viterbo.
  • Scrivere femminile: il corso, rivolto a tutti coloro che operano nel campo della storia di genere, analizzerà alcuni casi peculiari della storia della scrittura femminile. Si terrà dal 2 maggio al 6 giugno, dalle 15 alle 17, online e in presenza presso l’Istituto di Norvegia in Roma.
  • Catalogare il materiale a stampa antico: corso di approfondimento. Dal 13 al 15 maggio Flavia Bruni e Monica Bocchetta terranno in presenza presso la Biblioteca della Federazione delle Clarisse a Viterbo un corso avanzato, che intende fornire gli strumenti base per la catalogazione specialistica del libro antico con un approccio pratico. A ottobre si terrà online anche il corso Catalogazione pratica del libro antico. Strategie e strumenti tenuto da Francesco Nocco e Filippo Sedda e che approfondirà le strategie di pre-catalogazione del libro antico .
  • Catalogazione con Manus online: per 5 martedì nel mese di maggio Lucia Negrini e Valentina Atturo dell’ICCU terranno un corso di introduzione all’uso del nuovo software di Manus OnLine (MOL).

 

Se avete dubbi o domande sullo svolgimento dei corsi, provate a consulare la nostra sezione FAQ!

Armida Barelli tra santa Rosa e monsignor Fiorino Tagliaferri

Il 3 marzo 2022 alle ore 18.00 presso il Santuario di S. Rosa a Viterbo si terrà l’incontro organizzato dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus dal titolo “Armida Barelli tra santa Rosa e monsignor Fiorino Tagliaferri”. Interviene Marcella Serafini, modera p. Pietro Messa. L’appuntamento – in presenza e in streaming sul canale Youtube del CSSRV – apre il triduo di preparazione alla festa liturgica di santa Rosa, che la tradizione vuole scomparsa il 6 marzo: è questo il dies natalis, ovvero il giorno in cui Rosa è nata al cielo.

Quest’anno si è voluto legare la riflessione sull’eredità di santa Rosa alla figura della venerabile Armida Barelli, che il 22 aprile sarà beatificata. “Laica cattolica militante durante tutta la prima metà del XX secolo, la Barelli si è sempre contraddistinta per l’affermazione dei diritti delle donne e per lo sviluppo di politiche per il lavoro e la formazione. Tra i principali risultati da lei ottenuti spiccano sicuramente la fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo, ma soprattutto della Gioventù Femminile Cattolica Italiana (G.F.C.I.)” (cfr. Armida Barelli e santa Rosa da Viterbo, a cura di Angelo Sapio).

Nelle sue memorie racconta che fu nel settembre del 1918, quando si recò dal Santo Padre Benedetto XV, che scelse la Santa viterbese come patrona della futura Gioventù Femminile Cattolica Italiana. La presenza di Armida Barelli è infatti attestata più volte presso il monastero di S. Rosa; qui ancora si preserva la stanza in cui fu ospite, come si conserva un ex voto lasciato in uno dei suoi pellegrinaggi fatti proprio con la Gioventù Femminile Cattolica Italiana. 

Così si esprime una testimone privilegiata di Armida, Madre Cristiana Piccardo, famosa priora delle trappiste di Vitorchiano che ora vive in Venezuela, dove è andata a fondare un monastero:

“Nell’incontro con Armida Barelli non c’era solo la riscoperta di un ideale, ma la scoperta di una umanità diversa, di un’amicizia piena di libertà e di calore, di un impegno di verità vissuto insieme, soprattutto l’incontro della Chiesa la casa comune e di quella presenza che la colmava di infinito e di eterno: Gesù Cristo”.

Presentazione volume di Paolo Cammarosano

 DOPO L’ANNO DANTESCO.

A proposito del libro di Paolo Cammarosano, Giudizio umano e giustizia divina

 

Riferiscono Sara Menzinger e Antonio Montefusco

apre la discussione Giuliano Milani

chiude l’Autore

 

27 gennaio 2022  ore 17 online

per prenotarsi su Zoom compila entro il 26 gennaio il seguente modulo:

https://bit.ly/cammarosano

Strenna di Natale: il presepio da Greccio a S. Rosa

Tempo di Avvento, tempo di attesa… Intanto però la Natività si prepara a fare il suo ingresso nelle case. Quello del Presepio rappresenta l’elemento senza tempo per eccellenza al centro della devozione popolare cristiana, molto più del laico albero di importazione nordica, sebbene tragga origine da tradizioni tardo antiche e medievali. Ne rintracciamo le primitive testimonianze già all’interno dei reperti sepolcrali romani, come nel caso delle pitture rinvenute a Roma nelle Catacombe di Priscilla lungo la Via Salaria (III° sec.), o i bassorilievi del Sarcofago di Adelfia estratto dalle Catacombe siracusane di San Giovanni (IV sec.).

Per giungere a quell’usanza, tipicamente italiana nei primordi, poi estesa a tutto il mondo cristiano, di raffigurare la scena della Natività bisogna però attendere l’intuizione del Santo di Assisi, quando questi, di ritorno dal suo viaggio in Terra Santa, dove era rimasto particolarmente colpito alla visita di Betlemme, pensò di rievocare la nascita di Gesù in un piccolo borgo dell’Appennino umbro a lui caro che trovava tanto simile alla città palestinese. Ottenuta preventivamente un’autorizzazione da papa Onorio III e successivamente il nulla osta del castellano di Greccio, Francesco diede forma per la prima volta in quel luogo alla riproduzione della sacra scena. In quella primissima rievocazione nella notte di Natale del 1223 c’erano solo la grotta, il bue e l’asino; nessuno prese i ruoli di Gesù, Maria e Giuseppe per non darne un eccessivo spettacolo. I popolani accorsi ad assistervi divennero invece inconsapevolmente parte di un quadro più grande, oggetto in futuro per innumerevoli riferimenti.

Tommaso da Celano, biografo del Santo, descrive così la scena nella prima Vita:

 Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora la semplicità, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme”.

Su impulso di quanto san Francesco aveva fatto a Greccio, ben presto l’iconografia sacra avrebbe riservato un grande interesse a questo soggetto evangelico, attraverso una produzione iconografica destinata a divenire nel tempo sempre più cospicua e fortunata. Dai primi affreschi realizzati da Giotto ad Assisi per la Basilica Superiore o a Padova per la Cappella degli Scrovegni, al primo esempio di gruppo scultoreo eseguito da Arnolfo di Cambio nel 1283 ed oggi conservato nella cripta della Basilica di S. Maria Maggiore a Roma, il Presepio via via passò dall’ambito prettamente artistico a quello popolare, soprattutto a seguito del Concilio di Trento, per poi consacrarsi definitivamente a partire dal sec. XVIII° con la nascita delle grandi tradizioni presepistiche regionali in pieno periodo Barocco.

A Roma, in particolar modo, “esplodeva” l’arte dei “Pupazzari” che si specializzò proprio nella produzione di statuine in terracotta per la costruzione dei presepi tridimensionali. A Napoli invece la tradizione presepistica ha trovato una dimensione del tutto particolare, divenendo parte non secondaria del patrimonio storico, artistico e culturale della città, tanto da far affermare al locale collezionista Michele Cuciniello che «il presepio è Vangelo tradotto in dialetto partenopeo».

La ricchezza simbolica ed allegorica del presepio napoletano generò infatti un decalogo di “regole” da seguire più o meno pedissequamente per la realizzazione di un’opera in cui la Natività doveva trovare spazio all’interno di un contesto molto più ampio, riuscendo a catturare l’attenzione dell’osservatore pur non posizionandosi necessariamente al centro della scena. Immancabile quindi trovare elementi come lo scoglio di sughero che si presta a collina, ma anche a sistema di grotte e ricoveri per personaggi di contorno come artigiani e pastori; le vestigia di un anonimo tempio romano dove il più delle volte trova rifugio la Sacra Famiglia, l’elemento dell’acqua imbrigliato sotto forma di rivo, specchio, fontanili o pozzi, oppure gli stessi Magi che giungono in visita a Gesù, i quali, più che come antichi sacerdoti zoroastriani dalla remota Persia, sono riproposti in sfarzosi abiti orientali che risentono molto del gusto turco-ottomano settecentesco. Questi ultimi personaggi hanno rivestito un ruolo fondamentale anche nella durata del presepio. In molti casi infatti esso rimaneva esposto fino al 2 febbraio, la Candelora, giorno in cui secondo la tradizione i Magi ripartirono da Betlemme.

La ricchezza di particolari, la minuziosità nel replicare scene di vita contadina o popolare contemporanea, affiancate anche da un supporto tecnologico sempre più sofisticato, ma soprattutto le dimensioni considerevoli di queste opere di ingegno portarono infine alla costruzione anche di presepi permanenti all’interno di palazzi nobiliari o vescovili, in chiese e monasteri.

Uno di questi è possibile ammirarlo presso il Monastero di S. Rosa a Viterbo, precisamente all’interno della Casa della Santa. Tutto ebbe inizio quando un sacerdote del viterbese, Mons. Aroldo Gasbarri, già arciprete di Oriolo Romano negli anni ’30 del secolo scorso, poi divenuto Economo del Pontificio Collegio Urbano di Propaganda Fide, ricevette in dono un folto gruppo di statuine in legno d’acero intagliate a mano e dipinte con colorazioni ad olio dai maestri artigiani della Val Gardena. Si trattava dei personaggi tipici del presepio sud-tirolese, alcuni dei quali anche con repliche in pose diverse, utili a rappresentare più di una scena. Il sacerdote le conservò gelosamente per tutta la vita, ma promise che un giorno queste sarebbero andate al monastero della patrona di Viterbo a cui pare fosse molto devoto…e così avvenne.

Le statuine giunsero a Viterbo nei primi anni ’70 e vennero temporaneamente impiegate per allestire un presepio nel Santuario. Per motivi logistici si scelse poi di spostarle presso la Casa di s. Rosa in attesa di trovare loro una sistemazione più consona. L’occasione si presentò proprio quando nel 1980 le monache Clarisse iniziarono delle opere di ristrutturazione della Casa al fine di consentire una maggiore fruizione da parte dei pellegrini. In quell’occasione si scelse di mettere mano anche al piano superiore dove, da secoli, resistevano ancora in condizioni molto precarie un antico fienile e una nicchia incavata nel muro che, secondo la tradizione, corrispondeva alla cella in cui si ritirava la Santa.

L’intenzione delle monache era quella di ricavare uno spazio ad hoc per la costruzione di un grande presepio permanente dove poter ricreare l’ambiente in cui si svolse la vita di Gesù ed utilizzare le pregiate statue lignee per trasporvi i racconti evangelici. Grazie allo sforzo di alcuni volontari del Monastero, sotto la meticolosa regia di Suor M. Celeste Ciancialla, in poco tempo venne completato un presepio poliscenico di circa 15 mq suddiviso in sette “quadri” che vanno dall’Annunciazione a Maria fino ad arrivare persino alla Resurrezione di Gesù, passando ovviamente per la scena della Natività, riproposta in due quadri distinti per permettere l’aggiunta dei Magi scortati da maestosi elefanti, dromedari e camelli ed infine l’ambientazione della fuga in Egitto (idealizzata nella forma della “cornice” e soprattutto nella presenza in primo piano di una grandiosa sfinge).

Per realizzare le scenografie dello sfondo venne presa ispirazione da alcune delle trecento fotografie dei paesaggi palestinesi eseguite in esclusiva per una rara pubblicazione che si conservava in Monastero, “Il Vangelo e gli Atti degli Apostoli” (Traduzione e note di P. Angelico Poppi o.f.m. conv., Edizioni Messaggero, Padova, 1961). Oltre che per la completezza della narrazione, questo presepio si distingue pertanto per la grande attenzione riservata ai particolari. Ogni personaggio, casa o albero è disposto in maniera tale da rispettare le dovute proporzioni nelle distanze prospettiche. Il cielo e le montagne sullo sfondo presentano inoltre un meccanismo aurora-tramonto in rigenerazione automatica, così come avviene per il passaggio della stella cometa; il tutto proiettato sul telo bianco che fa da quinta. Completa l’insieme un sottofondo sonoro fatto di rumori di acqua in movimento e un leggero accompagnamento musicale

Nel tempo, va detto anche che il presepio permanente della Casa di s. Rosa ha subito diverse opere di ristrutturazione, soprattutto dopo nuovi lavori di sistemazione che hanno interessato il tetto del locale, che ne hanno impedito la fruizione per alcuni anni. Molti sono stati i volontari che si sono susseguiti nel corso del tempo per fornire anche solo piccoli contributi, tutti utili alla manutenzione del presepio artistico di S. Rosa. Tutt’oggi esso necessita infatti di continue accortezze per far sì che possa essere sempre conservato e trasmesso a chi sceglierà di venire a visitarlo.