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Panis et perna. Mostra documentaria

a cura di Alexa Bianchini, Romina De Vizio e Lucia Malvinni

Anche quest’anno il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo partecipa alle Giornate di valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico “Oltre lo scivolo. Beni culturali ecclesiastici: dall’accessibilità all’inclusione” che si svolgono dal 13 al 21 maggio, con l’apertura di una mostra che espone alcuni documenti dell’archivio del monastero romano di San Lorenzo in Panisperna.

“Panis et Perna” è un breve percorso documentario che racconta la vita liturgica, ma non solo, vissuta all’interno del Monastero in particolare nel giorno di festa del Santo. I documenti esposti, di età moderna e contemporanea, sono parte integrante dell’Archivio di San Lorenzo in Panisperna conservato presso l’Archivio Generale della Federazione Clarisse Santa Giacinta Marescotti. Nata per promuovere i valori della vita contemplativa clariana, la Federazione comprende alcune istituzioni monastiche toscane e laziali, tra cui anche l’omonimo Monastero.

Le fonti messe in mostra sono soprattutto di tipo liturgico, contabile e cronachistico ma l’archivio conserva anche altre tipologie documentarie attraverso le quali è possibile conoscere i vari aspetti della vita contemplativa, devozionale e attiva delle monache del venerabile Monastero.

La mostra è aperta dal 17 al 19 maggio dalle 10 alle 14 e tutti i mercoledì successivi sempre dalle 10 alle 14.

Nel mistero pasquale: un senso al passaggio

a cura di Angelo Sapio

Nell’ormai secolarizzata cultura occidentale due sono le festività cristiane che hanno meglio retto all’urto dei tempi, seppur profondamente alterate nel loro significato intrinseco, in quanto spogliate della propria valenza spirituale in funzione delle nuove esigenze proprie della moderna civiltà globale. Si tratta ovviamente del Natale e della Pasqua, le quali, grazie al forte richiamo evocativo che hanno saputo mantenere, si sono riadattate in chiave laica alla contemporaneità, permettendo allo stesso tempo di tramandare un patrimonio fatto di virtù e di doti morali ancora valide per il presente.

Diversamente dal Natale, la Pasqua è riuscita peraltro a conservare un’aura di maggiore neutralità, una sua immagine austera in cui il credente sperimenta meglio raccoglimento e contemplazione senza eccessive interposizioni.

Essa vanta inoltre una preesistente tradizione all’interno del culto ebraico, l’antica Pasqua, Pesach, in cui tutt’oggi viene celebrata la liberazione degli Ebrei dall’Egitto. La parola Pesach, che significa “passare oltre”, deriva dal racconto della decima piaga nella quale il Signore comandò agli Ebrei di segnare con il sangue dell’agnello le porte delle case di Israele permettendo allo sterminatore di “andare oltre” colpendo così solo le case degli Egizi e, in particolar modo, i primogeniti maschi degli Egizi, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto e l’inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa.

Con l’avvento del cristianesimo, la Pasqua ha acquisito un nuovo significato, indicando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal peccato con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana che è quindi Pasqua di Risurrezione, è la chiave interpretativa della nuova alleanza, concentrando in sé il significato del mistero messianico di Gesù e collegandolo al Pesach dell’Esodo. Ponendo al centro la vicenda di Gesù, morto nel venerdì precedente la festa ebraica e risorto il giorno successivo, i cristiani leggono nella narrazione della Passione, l’avverarsi delle Scritture.

Dal punto di vista teologico, la Pasqua racchiude in sé tutto il mistero cristiano: con la Passione Cristo si è immolato per l’uomo, liberandolo dal peccato originale e riscattando la sua natura ormai corrotta, permettendogli quindi di passare dai vizi alla virtù; con la Risurrezione ha vinto sul mondo e sulla morte, mostrando all’uomo il proprio destino, ovvero la risurrezione nel giorno finale, ma anche il risveglio alla vera vita. Tutti questi concetti, oggi forse di difficile comprensione se rapportati alla complessità delle nostre azioni quotidiane, forniscono tuttavia un’occasione importante alle nostre riflessioni esistenziali.

Nell’arco della Settimana Santa precetti e riti della tradizione popolare si alternano e si sovrappongono in un insieme unico di esperienze individuali o condivise che spaziano dalla rinuncia alla preghiera, dall’attesa alla partecipazione, dalla vicinanza al ritiro. E’ il momento dell’anno per eccellenza in cui più si riflette sul mistero della vita e della vita oltre la morte.

In ogni epoca l’essere umano ha sempre cercato di fare i conti con la sua “finitezza”, che è una condizione analoga a tutte le altre forme viventi presenti sul pianeta, provando da un lato a prolungare la sua presenza terrena e dall’altro a intravvedere un “oltre” che possa dare un senso a quanto abbiamo costruito da vivi…

Sin dall’antichità il culto dei morti ha sempre esercitato una certa influenza all’interno della civiltà umana. Nel mondo romano e preromano ad esempio, era usanza seppellire i propri defunti all’interno di sarcofagi decorati da figure riferibili al mondo del mito: queste erano spesso utilizzate per descrivere le diverse qualità del defunto, o più in generale per alludere alla felicità dell’oltretomba attraverso la rievocazione di un mondo sereno e felice. Al loro interno veniva poi riposto un corredo funebre consono al rango sociale della famiglia. In talune circostanze, come nel caso della necropoli romana rinvenuta al di sotto delle grotte vaticane, le sepolture venivano realizzate con delle cavità attraverso le quali poter continuare a “nutrire” le salme dei defunti. Queste pratiche denotano la volontà degli individui a non separarsi mai totalmente dalla corporeità di chi li ha preceduti.

Nel 1889, durante i lavori di scavo per le fondazioni del Palazzo di Giustizia di Roma, vennero alla luce diversi reperti archeologici, tra i quali due sarcofagi ancora sigillati intitolati a personaggi della stessa famiglia: Crepereia Tryphaena, una giovane di circa vent’anni ed il padre Crepereius Euhodus, oggi conservati presso la ex Centrale Montemartini. Il corredo funebre, presente solo nel sarcofago di Tryphaena, appariva molto ricco di ornamenti d’oro e deposta accanto al suo scheletro vi era una bambola d’avorio, inizialmente creduta di legno di quercia, di pregevole fattura e snodabile in alcune articolazioni. Tryphaena fu identificata come una fanciulla vissuta nella metà del II secolo d.C. che si presentò agli occhi dei Romani accorsi alla notizia dell’eccezionale ritrovamento come una divinità fluviale. All’apertura del sarcofago infatti, la giovane donna, sommersa nell’acqua proveniente dal vicino Tevere, appariva come una ninfa, come testimoniò l’archeologo Rodolfo Lanciani presente agli scavi:

«Tolto il coperchio, e lanciato uno sguardo al cadavere attraverso il cristallo dell’acqua limpida e fresca, fummo stranamente sorpresi dall’aspetto del teschio, che ne appariva tuttora coperto dalla folta e lunga capigliatura ondeggiante sull’acqua. La fama di cosi mirabile ritrovamento attrasse in breve turbe di curiosi dal quartiere vicino, di maniera che l’esumazione di Crepereia Tryphaena fu compiuta con onori oltre ogni dire solenni, e ne rimarrà lunghi anni la memoria nel rione Prati. Il fenomeno della capigliatura è facilmente spiegato. Con l’acqua di filtramento erano penetrati nel cavo del sarcofago bulbi di una tal pianta acquatica che produce filamenti di color d’ebano, lunghissimi, i quali bulbi avevano messo di preferenza le loro barbicine sul cranio. Il cranio era leggermente rivolto verso la spalla sinistra e verso la gentile figurina di bambola…»

Tra gioielli di Tryphaena fu ritrovato al dito della giovanetta un anello con incisa la parola “Filetus” che fece immaginare al poeta Giovanni Pascoli che fosse il nome del suo promesso sposo mancato poiché la presenza della bambola nel corredo funebre faceva pensare che fosse morta alla vigilia delle nozze non avendo fatto in tempo a donare i suoi giocattoli agli dei per la cerimonia di “addio all’infanzia”.

L’età della fanciulla ricorda in qualche modo Rosa da Viterbo, morta giovanissima e seppellita presso la chiesa parrocchiale di S. Maria in Poggio. A pochi anni di distanza, il corpo venne dissepolto e rinvenuto intatto, secondo talune tradizioni popolari assieme ad una manna profumata o ad un fascio di fiori freschissimi, prima di essere traslato al vicino Monastero delle Damianite. Le spoglie di s. Rosa, giunte sino a noi dopo otto secoli, confermano il legame vivo ancora oggi di un’intera comunità con la testimonianza fisica della sua patrona.

Curiosamente, proprio di fronte alla chiesa di S. Maria in Poggio, oltre quella fontana che è stata testimone di vita quotidiana di Rosa, vi è un antico palazzetto di epoca rinascimentale appartenuto alla famiglia Nini che presenta una particolare “anomalia”. A fianco al portone d’ingresso appare traccia ben visibile di una porticina secondaria murata, che sarebbe ascrivibile alla singolare usanza della “Porta del Morto”. Secondo alcuni studiosi, queste porticine non avevano alcuna finalità difensiva, ma celano un significato di tutt’altro tipo, legato alla superstizione e alle tradizioni funebri medievali. Per i sostenitori di questa ipotesi, infatti, tali porte venivano utilizzate esclusivamente per far uscire le salme dei familiari defunti: esse venivano aperte soltanto quando si verificava un lutto in famiglia e restavano murate per il resto del tempo. Quindi le Porte del Morto avevano un significato difensivo non contro gli attacchi dei vivi, ma contro la Morte stessa, come se grazie a questo stratagemma essa potesse soltanto uscire dalla casa (con i piedi in avanti) senza potervi poi rientrare.

Oggi grazie al progresso tecnico-scientifico siamo giunti, a volte a scapito del resto dell’ecosistema di cui facciamo parte, ad ottimizzare le condizioni per il massimo godimento della nostra vita, a bearci dei benefici raggiunti, a saper governare gli ostacoli naturali che possiamo incontrare strada facendo e dunque ad interpretare la nostra vecchiaia non come il tramonto di questo nostro percorso terreno, ma come il miglior mantenimento possibile dei nostri presupposti. Inconsciamente quindi l’uomo considera come principio primo e assoluto la prosecuzione della vita fisica come una “cristallizzazione” della stessa e non come transito ad una nuova condizione.

Rimaniamo tuttavia consapevoli della finitezza del nostro tempo, senza esser in grado di accettarlo a pieno. La morte è ancora diffusamente in tutto il mondo lo spauracchio da tenere il più possibile lontano da noi, è la paura principale che ci attanaglia, quando questa si avvicina alle nostre vite o a quelle dei nostri congiunti…quando ci lasciano anzitempo.

Anche Gesù affronta in prima persona questo problema. Nella notte al Getsemani egli vive il suo momento più difficile. In quel frangente testimonia la vera fragilità della condizione umana, che è fatta appunto della naturale paura del morire e della tentazione a fuggirsene via. Consapevole fino in fondo della sua missione, teme tuttavia, come farebbe chiunque altro, il momento di quel fatidico “passaggio”. In una confessione intima afferma ad alta voce:

«Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu».  (Mc 14,36)

Nell’esperienza di Gesù, quell’amaro “calice” costituisce la cifra simbolica della sofferenza e della caducità della nostra condizione. L’istinto biologico di sopravvivenza rifiuta la morte perché la percepisce come il termine ultimo.

Il card. Carlo Maria Martini in una delle sue ultime uscite pubbliche diede la sua personale chiave di lettura definitiva al delicato argomento:

«Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio. È l’insegnamento di Montini, per me fu un po’ come un padre. Perché ciò che ci attende dopo la morte è un mistero che richiede un affidamento totale».

Concetto in qualche modo analogo lo espresse, in tutto il suo colore, persino il “principe della risata”, anche lui sul finire della sua carriera, rimanendo fino all’ultimo coerente con la sua tagliente ironia:

“Non ho paura di morire. La morte è una cosa naturale e averne paura è da fessi. Io la prima cosa che ho fatto quando ho guadagnato nu poco di soldi è stato comprarmi una cappella a Napoli, per andarci ad abitare da morto…” (Antonio De Curtis, Totò).

Recentemente anche un film d’animazione firmato Disney-Pixar, “Coco” (2017), ha dato un importante contributo sul difficile tema della perdita umana, all’interno della cultura di massa. Esso si ispira alla festività messicana del Dìa de Los Muertos, affine alla nostra celebrazione dei defunti nel giorno che precede la festa di Ognissanti. Con un intreccio fantasioso ma ben ponderato, la storia affronta delicatamente il motivo della morte, sdoganandolo per la prima volta dal classico filone horror americano e dalla blasonata festa di Halloween. Il film insegna che si può e si deve parlare dei defunti ed anzi ricordarli, poiché essi sono con noi anche se non fisicamente presenti. Il bambino protagonista della storia scopre che i morti continuano a “vivere” nell’aldilà proprio tramite il ricordo dei vivi. Se anzi non rimanesse più nessuno tra i vivi a conservarne un pensiero, i morti scomparirebbero definitivamente. Il suo compito è quello di aiutare l’anziana bisnonna a ritrovare il ricordo del padre, morto quando lei era solo una bambina e a riscattarne la memoria di fronte ai famigliari prima che si esaurisca il tempo.

Tra i tanti, meriterebbe anche una menzione speciale lo scrittore cattolico britannico J.R.R. Tolkien, la cui intera opera presenta rimandi continui alla Sacra Scrittura, in particolar modo nel Signore degli Anelli, celebre capolavoro pervaso ovunque da quel senso della fragilità umana che, forse per l’autore, solo in Dio trova compimento e appoggio. E’ ciò che traspare specialmente in un passaggio in particolare: quello in cui lo stregone buono Gandalf il Bianco (già risuscitato a nuova vita in seguito ad uno scontro mortale con un potente demone), magistralmente interpretato da Ian McKellen nella trasposizione cinematografica di Peter Jackson, rifranca il giovane hobbit Pipino, assalito dallo scoramento nella fase cruciale della battaglia per la difesa di Minas Tirith, una sorta di Assisi rivisitata in chiave fantasy, assediata dalle forze del male:

Pipino: “Non credevo sarebbe finita così.”

Gandalf: “Finita? No, il viaggio non finisce qui. La morte è soltanto un’altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato. E poi lo vedi.”

P: “Cosa? Gandalf!… Vedi cosa?”

G: Bianche sponde, e al di là di queste, un verde paesaggio, sotto una lesta aurora.”

P: “Be’, non è così male.”

G: “No… No, non lo è”.

Mario Brutti e la Biblioteca del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo

a cura di Francesco Nocco, direttore della Biblioteca

Il 4 dicembre del 2020 sono caduti i primi due anni dalla scomparsa di Mario Brutti, noto uomo di cultura, infinitamente innamorato della città di Viterbo, nonostante fosse nato a Milano nel 1936, ma da genitori viterbesi trasferiti in Lombardia per motivi di lavoro.

La vita di Mario Brutti è sempre stata legata a Viterbo, sin dalla formazione scolastica: per ragioni familiari ha abitato anche a Grottaferrata, tuttavia il rientro definitivo in città risale agli anni 2000, periodo nel quale ha ricoperto diversi incarichi e ha seguito numerose attività lavorative e culturali; tra gli impegni a cui si è dedicato non si può non menzionare la pluriannuale responsabilità in qualità di Presidente della Fondazione Carivit, a partire dal 2013.

Non poche sono le realtà a cui ha assicurato vicinanza e sostegno: anche il nostro Centro Studi Santa Rosa da Viterbo è testimone di tanta attenzione, non avendo Mario Brutti mai fatto mancare al Centro Studi il suo contributo di saggezza e umanità: per questo motivo è ancora più carico di significato il gesto che ha voluto compiere la famiglia di donare, dopo il 4 dicembre del 2020, proprio al Centro Studi i libri di Mario Brutti.

Si tratta, con ogni evidenza, di una parte della sua raccolta libraria, un nucleo che conta circa cento volumi, ma che dà adeguatamente prova degli interessi intellettuali e delle curiosità dell’uomo di cultura, annoverando opere che spaziano dalla storia alla sociologia, dal diritto all’economia, non senza una specifica incursione nella produzione religiosa, con scritti spirituali di celebri santi e libri di preghiere, attestazioni che delineano, tra gli altri aspetti, il profilo di Mario Brutti come cattolico profondamente impegnato nella comunità pubblica.

L’arrivo del fondo librario di Mario Brutti ha dato idealmente l’avvio alla nascita della Biblioteca del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, realtà che è stata in via ufficiale istituita nel mese di settembre del 2022, avendo come prima donazione bibliografica già compiuta proprio la raccolta di Mario Brutti.

Questi libri oggi si affiancano alle pubblicazioni, da tempo presenti, edite dal Centro Studi e ad altri nuclei librari nel frattempo offerti dai soci e non solo: le consistenze in crescendo ci spronano a valorizzare e promuovere sempre più questa Biblioteca e a ringraziare ancora una volta tutti coloro che, come i familiari di Mario Brutti, hanno dimostrato e dimostreranno una così grande sensibilità culturale e tanto tributo di stima verso il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.

Scritture in rotolo

Il ciclo di seminari MEDIOEVO DELLE FONTI è organizzato da Corinna Drago e Pietro Silanos del Dipartimento di Ricerca e Innovazione Umanistica dell’Università degli Studi di Bari in collaborazione con il Centro Studi S. Rosa da Viterbo e la SPeS.
Si tratta del secondo appuntamento di un esperimento didattico ‘verticale’, che offre percorsi di approfondimento sulle fonti scritte. Quest’anno la tipologia indagata è il rotolo.
I seminari (della durata di due ore accademiche, 15.45-17.25) si  terranno in presenza presso il Dipartimento di Ricerca e innovazione umanistica di Bari (i relatori fuori sede in collegamento) e grazie alla SPeS, chiunque sia interessato potrà seguirli gratuitamente on-line.

Per seguire online i seminari è necessario iscriversi al seguente link: bit.ly/bari-rotolo.

Per ulteriori informazioni:

pietro.silanos@uniba.it

spes@centrostudisantarosa.org

Locandina

Diplomatica e storia del diritto I (2023)

Il corso è destinato specialmente, ma non esclusivamente, a archivisti e medievisti. Esso consiste nella lettura di documenti considerati alla maniera della diplomatica e commentati alla luce della storia del diritto. Quest’anno si prenderanno in considerazione documenti di diritto privato (una compravendita, un livello, un testamento, una donazione, un contratto agrario eccetera). Il prossimo anno, invece, il corso prenderà in esame documenti di autorità pubbliche e di organismi collettivi.

Letture di: Simone Allegria, Attilio Bartoli Langeli, Paolo Cammarosano, Antonio Ciaralli, Alfio Cortonesi, Maria Grazia Nico, Eleonora Rava.

Commenti di: Victor Crescenzi, Paolo Mari, Sara Menzinger e Ferdinando Treggiari.

Il corso si svolgerà tutti i mercoledì dalle ore 17 alle 19 a partire dal 29 marzo fino al 31 maggio 2023.

Iscrizione

Il contributo per il corso è di 80 €; è prevista una riduzione del 50% per gli iscritti alle università convenzionate con il CSSRV e con la SPeS. Potrà essere versato attraverso bonifico bancario al seguente IBAN: IT18I0100514500000000001267 o tramite paypal.me/cssrv, precisando sempre la causale: “Contributo Documenti, diplomatica, diritto – Nome e Cognome”.

Le iscrizioni dovranno pervenire attraverso questo modulo telematico entro e non oltre il 22 marzo 2023 (è necessaria una Gmail per la compilazione). All’atto dell’iscrizione sarà necessario allegare la ricevuta del versamento. Gli iscritti saranno inseriti sulla piattaforma e-SpeS, dove verranno poi resi disponibili il materiale didattico e le registrazioni delle lezioni.

È previsto un attestato di partecipazione per chi avrà frequentato almeno il 75% delle lezioni.

Brochure

L’inventariazione dei beni storici e artistici ecclesiastici (Summer School)

L’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI, la Pontificia Università Gregoriana – Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa, l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, promuovono la Summer School “L’inventariazione dei beni storici e artistici ecclesiastici”, finalizzata a offrire la formazione necessaria per l’inventariazione dei beni storici e artistici delle Diocesi e degli Ordini religiosi, secondo la normativa CEI-OA.

La Summer School si svolgerà dal 5 al 9 giugno e dal 24 al 28 luglio 2023, a Viterbo, presso il Monastero di Santa Rosa, con il coordinamento e l’organizzazione del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo. Si tratta di due settimane residenziali, intensive, divise tra teoria e pratica, al termine delle quali verrà rilasciato un attestato dall’Ufficio Nazionale BCE della CEI che abiliterà alla schedatura presso le Diocesi e gli Ordini religiosi.

Le candidature dovranno pervenire compilando questo modulo online entro il 1 aprile 2023.

Premio Maneant per il progetto “Rose che sprigionano”

Il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo ha ottenuto il premio Maneant della Fondazione S. Bonaventura per la sezione archivi. 

Il 9 e 10 dicembre nella Biblioteca fra Landolfo Caracciolo del complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore in Napoli si è svolta la seconda edizione di “SBAM: Incontri ravvicinati…“. Si tratta di due giornate organizzate dagli operatori dei beni culturali della Fondazione San Bonaventura (Biblioteche Archivi Musei) con il contributo delle associazioni del settore, delle Università e della Regione Campania. Il focus di questa edizione è la sostenibilità, intesa come sfida per la vita stessa degli istituti culturali ma declinata anche nelle diverse prospettive aperte dalla svolta digitale.

Il progetto ad essere stato premiato è “Rose che sprigionano”: è stato riconosciuto come una buona pratica capace non solo di valorizzare gli istituti culturali, ma anche di renderli fruibili all’esterno. Il progetto è collegato con la documentazione dell’Archivio Generale della Federazione delle Clarisse Urbaniste e con gli oggetti del Museo della Quotidianità. Prevede il recupero di pratiche artigianali monastiche attestate fin dal XVI per il confezionamento di rose di stoffe nelle quali venivano installati degli encolpi (con reliquia dell’abito di santa Rosa). Questa pratica dopo essere stata studiata è stata insegnata e recuperata fattivamente all’interno della casa circondariale di Viterbo a partire dal 2020.

Per il video della premiazione clicca qui (min. 20′.40”).

Per conoscere i progetti del CSSRV coi detenuti clicca qui .

Paleografia pratica per tutti

Il corso intende introdurre i partecipanti alla conoscenza dei principali tipi di scritture dal basso Medioevo alla prima età moderna (XII-XVII secolo).

Le lezioni, tenute da docenti e studiosi tra i più qualificati, hanno uno scopo pratico e si configurano essenzialmente come esercitazioni di lettura e di trascrizione in modalità di didattica a distanza. Nel corso delle lezioni verranno presentati codici o documenti con diversi tipi di scritture, che si imparerà a leggere insieme.

I partecipanti saranno poi invitati a svolgere a casa degli esercizi di trascrizione, che verranno corretti nella lezione successiva con ulteriori approfondimenti paleografici.

Destinatari 

Chi non ha mai studiato la paleografia e si vuole cimentare con le scritture antiche a mano per imparare a leggerle, per diletto o per ricerca.

Chi ha studiato la paleografia diversi anni fa e ha bisogno di “rinfrescare” le sue conoscenze in modo nuovo e divertente.

Chi deve fare pratica su tipologie diverse di scritture per ricerche inerenti alla tesi di laurea o per sostenere gli esami universitari o quelli delle Scuole di Archivistica, Paleografia e Diplomatica.

Il corso si configura anche come attività, coordinata da Antonella Ambrosio, del Practice Workshop on the History of Latin and Italian Writing del Dottorato di ricerca in Historical Studies dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, nell’ambito del protocollo di intesa tra il CSSRV e il Dipartimento di Studi Umanistici (responsabili scientifici per il DSU: Rosalba Di Meglio e Antonella Ambrosio).

Iscrizione

Il contributo per il corso è di 80 €; è prevista una riduzione del 50% per gli iscritti alle università convenzionate con ilCSSRV e con la SPeS. Potrà essere versato attraverso bonifico bancario al seguente IBAN: IT18I0100514500000000001267 o tramite paypal.me/cssrv, precisando sempre la causale: “Contributo Paleografia pratica per tutti – Nome e Cognome”.

Le iscrizioni dovranno pervenire attraverso questo modulo entro il 9 gennaio 2023 (è necessaria una Gmail per la compilazione). All’atto dell’iscrizione sarà necessario allegare la ricevuta del versamento. Gli iscritti saranno inseriti sulla piattaforma e-SpeS, dove verranno poi resi disponibili il materiale didattico e le registrazioni delle lezioni. È previsto un attestato di partecipazione per chi avrà frequentato almeno il 75% delle lezioni.

Calendario

Lunedì ore 17-19

16, 23, 30 gennaio

6, 13, 20, 27 febbraio

6, 13, 20, 27 marzo

3 aprile

Programma

Scrittura e scritture. Epigrafi, codici e documenti. Leggere e trascrivere. Le abbreviazioni nel mondo romano e nel Medioevo.

Lettere chiare e distinte: una nuova scrittura per unificare la cultura europea.

Le ultime volontà di un pisano (un testamento del 1313).

Un fascicolo di Entrate e uscite del comune di San Ginesio del 1255.

Il più antico testimone con il “corpus” degli scritti di san Francesco, proveniente dalla Biblioteca del Sacro Convento di Assisi (ca. metà del XIII sec.).

Due lettere pontificie dall’Archivio del Monastero di Santa Rosa di Viterbo (1255 e 1256).

Epigrafi medievali viterbesi.

Un testamento dall’Archivio del Monastero di Santa Rosa di Viterbo (1379).

“Scriptores” al lavoro nell’Ufficio del Registro al tempo di Giulio II.

La scrittura usuale nel Seicento: lettere, cronache, note di possesso, appunti.

Docenti

Attilio Bartoli Langeli, Simone Allegria, Antonella Ambrosio, Maria Luisa Bottazzi, Francesco M. Cardarelli, Maela Carletti, Antonio Ciaralli, Rosalba Di Meglio, Corinna Drago, Eleonora Rava, Filippo Sedda, Carlo Tedeschi.

Franciscan Sources 2023

Siamo ormai nel periodo di celebrazione dei centenari francescani, che culmineranno negli 800 anni dalla morte (1226) e della canonizzazione (1228) di frate Francesco. Per questo si è pensato di riprendere sistematicamente tutte le fonti bio-agiografiche, cronache, compilazioni e documenti legati a Francesco d’Assisi attraverso un seminario online con sei appuntamenti annuali (da gennaio a giugno). 

Questo seminario vuole offrire a studiosi e appassionati un nuovo strumento di approccio alle fonti francescane, alternando esperti a livello internazionale e giovani ricercatori. L’ordine di presentazione delle fonti sarà cronologico e verrà annualmente declinato secondo un tema guida evidenziato da una relazione di carattere più storiografico.

Destinatari

Studiosi e appassionati del mondo francescano e della sua storia, che desiderino approfondire la conoscenza delle numerose fonti storiche.

Iscrizione

Le iscrizioni dovranno pervenire rigorosamente entro il 7 gennaio 2023  attraverso questo modulo. Il corso è completamente gratuito.

Qualche giorno prima dell’inizio delle lezioni gli iscritti saranno inseriti sulla piattaforma e-SPeS, dove troveranno il link per collegarsi via Zoom, i materiali didattici e saranno disponibili le lezioni registrate.

Sarà rilasciato un attestato di partecipazione a coloro che avranno frequentato almeno il 75% delle lezioni.

Programma 2023

Venerdì, online ore 17

13 gennaio: Giulia Cò, Vita beati patris nostri Francisci

10 febbraio: Filippo Sedda, Ufficio e leggende liturgiche

10 marzo: Stefano BrufaniLa “questione francescana”: il contributo di Raoul Manselli e di Giovanni Miccoli

14 aprile: Paola Sinigagliese, Vita sancti Francisci di Giuliano da Spira

12 maggio: Alfonso Marini, De inceptione vel fundamento ordinis

9 giugno: Francesco Marzella, Legenda versificata di Enrico di Avranches

Scopri le altre attività SPeS qui!

E se hai dubbi, consulta la sezione FAQ!

Locandina

Avviamento allo studio del manoscritto miniato

Il corso intende introdurre i partecipanti alla conoscenza del libro miniato, servendosi di un approccio pratico per consentire di riconoscere le varie tipologie illustrative, la classificazione e la descrizione delle miniature. Saranno infatti studiati e analizzati insieme vari casi concreti di miniature con esercizi di lettura (stilistica e iconografica) e con esercitazioni che i partecipanti potranno svolgere a casa.

Programma

ON-LINE Mercoledì dalle 17.00 alle 18.30

25 gennaio

1 febbraio

15 febbraio

1 marzo

8 marzo

15 marzo

22 marzo

 

Iscrizione

Il contributo per il corso è di 50 €, è prevista una riduzione del 50% per gli iscritti alle università convenzionate. Potrà essere versato attraverso bonifico bancario al seguente IBAN: IT18I0100514500000000001267 o tramite paypal.me/cssrv, precisando sempre la causale: “Contributo Avviamento alla miniatura – Nome cognome”.

Le iscrizioni dovranno pervenire attraverso questo modulo entro il 17 gennaio 2023 (è necessaria una Gmail per la compilazione). All’atto dell’iscrizione sarà necessario allegare la ricevuta del versamento. Prima dell’inizio delle lezioni gli iscritti saranno inseriti sulla piattaforma e-SPeS dove sarà disponibile il materiale didattico e le registrazioni.

È previsto un attestato di partecipazione per chi ha seguito in diretta il 75% delle lezioni.

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E se hai dubbi, consulta la sezione FAQ!

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