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Una Rosa in campo: I edizione

“Una Rosa in campo” nasce da una idea della Lega nazionale dilettanti di Viterbo subito accolta dalla Diocesi, dalle suore del Monastero dedicato alla patrona e dal Centro Studi Santa Rosa ETS.

L’appuntamento è fissato per martedì 5 settembre, nell’ambito dei festeggiamenti per santa Rosa. Da piazza S. Lorenzo le squadre partiranno in corteo percorrendo le vie del centro attraversate dal percorso della Macchina. Poi l’arrivo al Santuario per l’evento e le premiazioni. Questo premio calcistico  vuole essere un “riconoscimento a dirigenti, tecnici e atleti che nella stagione calcistica 2022/2023 si sono distinti nell’opera di inserimento e aggregazione sociale”. Un’occasione di coinvolgimento e condivisione basata su valori comuni, quelli più alti dello sport. 

Come afferma papa Francesco: “Lo sport è importante perché insegna a giocare in squadra, salva dall’egoismo e aiuta a non essere egoista. Per questo è importante lavorare in squadra, studiare in squadra e andare nel cammino della vita insieme in squadra. E giocando in squadra ognuno è più persona, più gente, si ingrandisce di più. E giocando in squadra la competizione, invece di essere guerra, è seme di pace”.

Il processo di canonizzazione di Rosa da Viterbo

Sabato 10 giugno alle ore 11, si presenta il volume Il processo di canonizzazione di Rosa da Viterbo (1457), a cura di Attilio Bartoli Langeli ed Eleonora Rava, edito dal Centro Studi Antoniani. La presentazione, aperta al pubblico, ha luogo presso la Sala del Quattrocento del monastero di Santa Rosa (via Santa Rosa 33) a Viterbo.

La pubblicazione raccoglie gli atti inediti del processo di canonizzazione di Rosa da Viterbo, indetto da papa Callisto III nel 1456 e svoltosi nel 1457.

Durante l’incontro, intervengono Sua Eccellenza Orazio Francesco Piazza, Vescovo di Viterbo, la professoressa Alessandra Bartolomei Romagnoli, docente presso la Pontificia Università Gregoriana e Sua Eminenza Reverendissima Cardinale Fortunato Frezza. Gli interventi sono moderati dal professor Francesco M. Cardarelli, docente presso l’Università degli Studi della Tuscia.

L’incontro è trasmesso anche online, in diretta streaming, sul canale YouTube del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.

Panis et perna. Mostra documentaria

a cura di Alexa Bianchini, Romina De Vizio e Lucia Malvinni

Anche quest’anno il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo partecipa alle Giornate di valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico “Oltre lo scivolo. Beni culturali ecclesiastici: dall’accessibilità all’inclusione” che si svolgono dal 13 al 21 maggio, con l’apertura di una mostra che espone alcuni documenti dell’archivio del monastero romano di San Lorenzo in Panisperna.

“Panis et Perna” è un breve percorso documentario che racconta la vita liturgica, ma non solo, vissuta all’interno del Monastero in particolare nel giorno di festa del Santo. I documenti esposti, di età moderna e contemporanea, sono parte integrante dell’Archivio di San Lorenzo in Panisperna conservato presso l’Archivio Generale della Federazione Clarisse Santa Giacinta Marescotti. Nata per promuovere i valori della vita contemplativa clariana, la Federazione comprende alcune istituzioni monastiche toscane e laziali, tra cui anche l’omonimo Monastero.

Le fonti messe in mostra sono soprattutto di tipo liturgico, contabile e cronachistico ma l’archivio conserva anche altre tipologie documentarie attraverso le quali è possibile conoscere i vari aspetti della vita contemplativa, devozionale e attiva delle monache del venerabile Monastero.

La mostra è aperta dal 17 al 19 maggio dalle 10 alle 14 e tutti i mercoledì successivi sempre dalle 10 alle 14.

Nel mistero pasquale: un senso al passaggio

a cura di Angelo Sapio

Nell’ormai secolarizzata cultura occidentale due sono le festività cristiane che hanno meglio retto all’urto dei tempi, seppur profondamente alterate nel loro significato intrinseco, in quanto spogliate della propria valenza spirituale in funzione delle nuove esigenze proprie della moderna civiltà globale. Si tratta ovviamente del Natale e della Pasqua, le quali, grazie al forte richiamo evocativo che hanno saputo mantenere, si sono riadattate in chiave laica alla contemporaneità, permettendo allo stesso tempo di tramandare un patrimonio fatto di virtù e di doti morali ancora valide per il presente.

Diversamente dal Natale, la Pasqua è riuscita peraltro a conservare un’aura di maggiore neutralità, una sua immagine austera in cui il credente sperimenta meglio raccoglimento e contemplazione senza eccessive interposizioni.

Essa vanta inoltre una preesistente tradizione all’interno del culto ebraico, l’antica Pasqua, Pesach, in cui tutt’oggi viene celebrata la liberazione degli Ebrei dall’Egitto. La parola Pesach, che significa “passare oltre”, deriva dal racconto della decima piaga nella quale il Signore comandò agli Ebrei di segnare con il sangue dell’agnello le porte delle case di Israele permettendo allo sterminatore di “andare oltre” colpendo così solo le case degli Egizi e, in particolar modo, i primogeniti maschi degli Egizi, compreso il figlio del faraone (Esodo, 12,21-34). Pesach indica quindi la liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto e l’inizio di una nuova libertà con Dio verso la terra promessa.

Con l’avvento del cristianesimo, la Pasqua ha acquisito un nuovo significato, indicando il passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal peccato con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana che è quindi Pasqua di Risurrezione, è la chiave interpretativa della nuova alleanza, concentrando in sé il significato del mistero messianico di Gesù e collegandolo al Pesach dell’Esodo. Ponendo al centro la vicenda di Gesù, morto nel venerdì precedente la festa ebraica e risorto il giorno successivo, i cristiani leggono nella narrazione della Passione, l’avverarsi delle Scritture.

Dal punto di vista teologico, la Pasqua racchiude in sé tutto il mistero cristiano: con la Passione Cristo si è immolato per l’uomo, liberandolo dal peccato originale e riscattando la sua natura ormai corrotta, permettendogli quindi di passare dai vizi alla virtù; con la Risurrezione ha vinto sul mondo e sulla morte, mostrando all’uomo il proprio destino, ovvero la risurrezione nel giorno finale, ma anche il risveglio alla vera vita. Tutti questi concetti, oggi forse di difficile comprensione se rapportati alla complessità delle nostre azioni quotidiane, forniscono tuttavia un’occasione importante alle nostre riflessioni esistenziali.

Nell’arco della Settimana Santa precetti e riti della tradizione popolare si alternano e si sovrappongono in un insieme unico di esperienze individuali o condivise che spaziano dalla rinuncia alla preghiera, dall’attesa alla partecipazione, dalla vicinanza al ritiro. E’ il momento dell’anno per eccellenza in cui più si riflette sul mistero della vita e della vita oltre la morte.

In ogni epoca l’essere umano ha sempre cercato di fare i conti con la sua “finitezza”, che è una condizione analoga a tutte le altre forme viventi presenti sul pianeta, provando da un lato a prolungare la sua presenza terrena e dall’altro a intravvedere un “oltre” che possa dare un senso a quanto abbiamo costruito da vivi…

Sin dall’antichità il culto dei morti ha sempre esercitato una certa influenza all’interno della civiltà umana. Nel mondo romano e preromano ad esempio, era usanza seppellire i propri defunti all’interno di sarcofagi decorati da figure riferibili al mondo del mito: queste erano spesso utilizzate per descrivere le diverse qualità del defunto, o più in generale per alludere alla felicità dell’oltretomba attraverso la rievocazione di un mondo sereno e felice. Al loro interno veniva poi riposto un corredo funebre consono al rango sociale della famiglia. In talune circostanze, come nel caso della necropoli romana rinvenuta al di sotto delle grotte vaticane, le sepolture venivano realizzate con delle cavità attraverso le quali poter continuare a “nutrire” le salme dei defunti. Queste pratiche denotano la volontà degli individui a non separarsi mai totalmente dalla corporeità di chi li ha preceduti.

Nel 1889, durante i lavori di scavo per le fondazioni del Palazzo di Giustizia di Roma, vennero alla luce diversi reperti archeologici, tra i quali due sarcofagi ancora sigillati intitolati a personaggi della stessa famiglia: Crepereia Tryphaena, una giovane di circa vent’anni ed il padre Crepereius Euhodus, oggi conservati presso la ex Centrale Montemartini. Il corredo funebre, presente solo nel sarcofago di Tryphaena, appariva molto ricco di ornamenti d’oro e deposta accanto al suo scheletro vi era una bambola d’avorio, inizialmente creduta di legno di quercia, di pregevole fattura e snodabile in alcune articolazioni. Tryphaena fu identificata come una fanciulla vissuta nella metà del II secolo d.C. che si presentò agli occhi dei Romani accorsi alla notizia dell’eccezionale ritrovamento come una divinità fluviale. All’apertura del sarcofago infatti, la giovane donna, sommersa nell’acqua proveniente dal vicino Tevere, appariva come una ninfa, come testimoniò l’archeologo Rodolfo Lanciani presente agli scavi:

«Tolto il coperchio, e lanciato uno sguardo al cadavere attraverso il cristallo dell’acqua limpida e fresca, fummo stranamente sorpresi dall’aspetto del teschio, che ne appariva tuttora coperto dalla folta e lunga capigliatura ondeggiante sull’acqua. La fama di cosi mirabile ritrovamento attrasse in breve turbe di curiosi dal quartiere vicino, di maniera che l’esumazione di Crepereia Tryphaena fu compiuta con onori oltre ogni dire solenni, e ne rimarrà lunghi anni la memoria nel rione Prati. Il fenomeno della capigliatura è facilmente spiegato. Con l’acqua di filtramento erano penetrati nel cavo del sarcofago bulbi di una tal pianta acquatica che produce filamenti di color d’ebano, lunghissimi, i quali bulbi avevano messo di preferenza le loro barbicine sul cranio. Il cranio era leggermente rivolto verso la spalla sinistra e verso la gentile figurina di bambola…»

Tra gioielli di Tryphaena fu ritrovato al dito della giovanetta un anello con incisa la parola “Filetus” che fece immaginare al poeta Giovanni Pascoli che fosse il nome del suo promesso sposo mancato poiché la presenza della bambola nel corredo funebre faceva pensare che fosse morta alla vigilia delle nozze non avendo fatto in tempo a donare i suoi giocattoli agli dei per la cerimonia di “addio all’infanzia”.

L’età della fanciulla ricorda in qualche modo Rosa da Viterbo, morta giovanissima e seppellita presso la chiesa parrocchiale di S. Maria in Poggio. A pochi anni di distanza, il corpo venne dissepolto e rinvenuto intatto, secondo talune tradizioni popolari assieme ad una manna profumata o ad un fascio di fiori freschissimi, prima di essere traslato al vicino Monastero delle Damianite. Le spoglie di s. Rosa, giunte sino a noi dopo otto secoli, confermano il legame vivo ancora oggi di un’intera comunità con la testimonianza fisica della sua patrona.

Curiosamente, proprio di fronte alla chiesa di S. Maria in Poggio, oltre quella fontana che è stata testimone di vita quotidiana di Rosa, vi è un antico palazzetto di epoca rinascimentale appartenuto alla famiglia Nini che presenta una particolare “anomalia”. A fianco al portone d’ingresso appare traccia ben visibile di una porticina secondaria murata, che sarebbe ascrivibile alla singolare usanza della “Porta del Morto”. Secondo alcuni studiosi, queste porticine non avevano alcuna finalità difensiva, ma celano un significato di tutt’altro tipo, legato alla superstizione e alle tradizioni funebri medievali. Per i sostenitori di questa ipotesi, infatti, tali porte venivano utilizzate esclusivamente per far uscire le salme dei familiari defunti: esse venivano aperte soltanto quando si verificava un lutto in famiglia e restavano murate per il resto del tempo. Quindi le Porte del Morto avevano un significato difensivo non contro gli attacchi dei vivi, ma contro la Morte stessa, come se grazie a questo stratagemma essa potesse soltanto uscire dalla casa (con i piedi in avanti) senza potervi poi rientrare.

Oggi grazie al progresso tecnico-scientifico siamo giunti, a volte a scapito del resto dell’ecosistema di cui facciamo parte, ad ottimizzare le condizioni per il massimo godimento della nostra vita, a bearci dei benefici raggiunti, a saper governare gli ostacoli naturali che possiamo incontrare strada facendo e dunque ad interpretare la nostra vecchiaia non come il tramonto di questo nostro percorso terreno, ma come il miglior mantenimento possibile dei nostri presupposti. Inconsciamente quindi l’uomo considera come principio primo e assoluto la prosecuzione della vita fisica come una “cristallizzazione” della stessa e non come transito ad una nuova condizione.

Rimaniamo tuttavia consapevoli della finitezza del nostro tempo, senza esser in grado di accettarlo a pieno. La morte è ancora diffusamente in tutto il mondo lo spauracchio da tenere il più possibile lontano da noi, è la paura principale che ci attanaglia, quando questa si avvicina alle nostre vite o a quelle dei nostri congiunti…quando ci lasciano anzitempo.

Anche Gesù affronta in prima persona questo problema. Nella notte al Getsemani egli vive il suo momento più difficile. In quel frangente testimonia la vera fragilità della condizione umana, che è fatta appunto della naturale paura del morire e della tentazione a fuggirsene via. Consapevole fino in fondo della sua missione, teme tuttavia, come farebbe chiunque altro, il momento di quel fatidico “passaggio”. In una confessione intima afferma ad alta voce:

«Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu».  (Mc 14,36)

Nell’esperienza di Gesù, quell’amaro “calice” costituisce la cifra simbolica della sofferenza e della caducità della nostra condizione. L’istinto biologico di sopravvivenza rifiuta la morte perché la percepisce come il termine ultimo.

Il card. Carlo Maria Martini in una delle sue ultime uscite pubbliche diede la sua personale chiave di lettura definitiva al delicato argomento:

«Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio. È l’insegnamento di Montini, per me fu un po’ come un padre. Perché ciò che ci attende dopo la morte è un mistero che richiede un affidamento totale».

Concetto in qualche modo analogo lo espresse, in tutto il suo colore, persino il “principe della risata”, anche lui sul finire della sua carriera, rimanendo fino all’ultimo coerente con la sua tagliente ironia:

“Non ho paura di morire. La morte è una cosa naturale e averne paura è da fessi. Io la prima cosa che ho fatto quando ho guadagnato nu poco di soldi è stato comprarmi una cappella a Napoli, per andarci ad abitare da morto…” (Antonio De Curtis, Totò).

Recentemente anche un film d’animazione firmato Disney-Pixar, “Coco” (2017), ha dato un importante contributo sul difficile tema della perdita umana, all’interno della cultura di massa. Esso si ispira alla festività messicana del Dìa de Los Muertos, affine alla nostra celebrazione dei defunti nel giorno che precede la festa di Ognissanti. Con un intreccio fantasioso ma ben ponderato, la storia affronta delicatamente il motivo della morte, sdoganandolo per la prima volta dal classico filone horror americano e dalla blasonata festa di Halloween. Il film insegna che si può e si deve parlare dei defunti ed anzi ricordarli, poiché essi sono con noi anche se non fisicamente presenti. Il bambino protagonista della storia scopre che i morti continuano a “vivere” nell’aldilà proprio tramite il ricordo dei vivi. Se anzi non rimanesse più nessuno tra i vivi a conservarne un pensiero, i morti scomparirebbero definitivamente. Il suo compito è quello di aiutare l’anziana bisnonna a ritrovare il ricordo del padre, morto quando lei era solo una bambina e a riscattarne la memoria di fronte ai famigliari prima che si esaurisca il tempo.

Tra i tanti, meriterebbe anche una menzione speciale lo scrittore cattolico britannico J.R.R. Tolkien, la cui intera opera presenta rimandi continui alla Sacra Scrittura, in particolar modo nel Signore degli Anelli, celebre capolavoro pervaso ovunque da quel senso della fragilità umana che, forse per l’autore, solo in Dio trova compimento e appoggio. E’ ciò che traspare specialmente in un passaggio in particolare: quello in cui lo stregone buono Gandalf il Bianco (già risuscitato a nuova vita in seguito ad uno scontro mortale con un potente demone), magistralmente interpretato da Ian McKellen nella trasposizione cinematografica di Peter Jackson, rifranca il giovane hobbit Pipino, assalito dallo scoramento nella fase cruciale della battaglia per la difesa di Minas Tirith, una sorta di Assisi rivisitata in chiave fantasy, assediata dalle forze del male:

Pipino: “Non credevo sarebbe finita così.”

Gandalf: “Finita? No, il viaggio non finisce qui. La morte è soltanto un’altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato. E poi lo vedi.”

P: “Cosa? Gandalf!… Vedi cosa?”

G: Bianche sponde, e al di là di queste, un verde paesaggio, sotto una lesta aurora.”

P: “Be’, non è così male.”

G: “No… No, non lo è”.

Mario Brutti e la Biblioteca del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo

a cura di Francesco Nocco, direttore della Biblioteca

Il 4 dicembre del 2020 sono caduti i primi due anni dalla scomparsa di Mario Brutti, noto uomo di cultura, infinitamente innamorato della città di Viterbo, nonostante fosse nato a Milano nel 1936, ma da genitori viterbesi trasferiti in Lombardia per motivi di lavoro.

La vita di Mario Brutti è sempre stata legata a Viterbo, sin dalla formazione scolastica: per ragioni familiari ha abitato anche a Grottaferrata, tuttavia il rientro definitivo in città risale agli anni 2000, periodo nel quale ha ricoperto diversi incarichi e ha seguito numerose attività lavorative e culturali; tra gli impegni a cui si è dedicato non si può non menzionare la pluriannuale responsabilità in qualità di Presidente della Fondazione Carivit, a partire dal 2013.

Non poche sono le realtà a cui ha assicurato vicinanza e sostegno: anche il nostro Centro Studi Santa Rosa da Viterbo è testimone di tanta attenzione, non avendo Mario Brutti mai fatto mancare al Centro Studi il suo contributo di saggezza e umanità: per questo motivo è ancora più carico di significato il gesto che ha voluto compiere la famiglia di donare, dopo il 4 dicembre del 2020, proprio al Centro Studi i libri di Mario Brutti.

Si tratta, con ogni evidenza, di una parte della sua raccolta libraria, un nucleo che conta circa cento volumi, ma che dà adeguatamente prova degli interessi intellettuali e delle curiosità dell’uomo di cultura, annoverando opere che spaziano dalla storia alla sociologia, dal diritto all’economia, non senza una specifica incursione nella produzione religiosa, con scritti spirituali di celebri santi e libri di preghiere, attestazioni che delineano, tra gli altri aspetti, il profilo di Mario Brutti come cattolico profondamente impegnato nella comunità pubblica.

L’arrivo del fondo librario di Mario Brutti ha dato idealmente l’avvio alla nascita della Biblioteca del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, realtà che è stata in via ufficiale istituita nel mese di settembre del 2022, avendo come prima donazione bibliografica già compiuta proprio la raccolta di Mario Brutti.

Questi libri oggi si affiancano alle pubblicazioni, da tempo presenti, edite dal Centro Studi e ad altri nuclei librari nel frattempo offerti dai soci e non solo: le consistenze in crescendo ci spronano a valorizzare e promuovere sempre più questa Biblioteca e a ringraziare ancora una volta tutti coloro che, come i familiari di Mario Brutti, hanno dimostrato e dimostreranno una così grande sensibilità culturale e tanto tributo di stima verso il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.

L’inventariazione dei beni storici e artistici ecclesiastici (Summer School)

L’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI, la Pontificia Università Gregoriana – Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa, l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, promuovono la Summer School “L’inventariazione dei beni storici e artistici ecclesiastici”, finalizzata a offrire la formazione necessaria per l’inventariazione dei beni storici e artistici delle Diocesi e degli Ordini religiosi, secondo la normativa CEI-OA.

La Summer School si svolgerà dal 5 al 9 giugno e dal 24 al 28 luglio 2023, a Viterbo, presso il Monastero di Santa Rosa, con il coordinamento e l’organizzazione del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo. Si tratta di due settimane residenziali, intensive, divise tra teoria e pratica, al termine delle quali verrà rilasciato un attestato dall’Ufficio Nazionale BCE della CEI che abiliterà alla schedatura presso le Diocesi e gli Ordini religiosi.

Le candidature dovranno pervenire compilando questo modulo online entro il 1 aprile 2023.

Offerta formativa 2022-2023

Per l’anno accademico 2022-2023 la Scuola di Paleografia e Storia e il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus hanno organizzato un fitto calendario di corsi e laboratori online e in modalità mista. Tutti i partecipanti ai corsi varanno accesso alla piattaforma di e-learning e-SPeS, dove saranno caricati i materiali didattici e le registrazioni delle lezioni. Inoltre coloro che avranno frequentanto almeno il 75% delle lezioni riceveranno un attestato di partecipazione.

Ecco l’elenco dei corsi in partenza a gennaio 2023. I dettagli di alcuni corsi sono ancora in fase di definizione; dopo la pubblicazione, il titolo del corso si colorerà di rosso. Cliccando su ciascun titolo, verrete reindirizzati alla pagina dedicata con tutte le informazioni sul programma, sul calendario e sulle modalità di iscrizione.

Primavera 2023

Diplomatica e storia del diritto I : Il corso consiste nella lettura di documenti considerati alla maniera della diplomatica e commentati alla luce della storia del diritto. Si prenderanno in considerazione documenti di diritto privato (una compravendita, un livello, un testamento, una donazione, un contratto agrario eccetera). 

Scritture in rotolo: seminario gratuito del corso MEDIOEVO DELLE FONTI, organizzato da Corinna Drago e Pietro Silanos del Dipartimento di Ricerca e Innovazione Umanistica dell’Università degli Studi di Bari. Si tratta del secondo appuntamento di un esperimento didattico ‘verticale’, che offre percorsi di approfondimento sulle fonti scritte. Quest’anno la tipologia indagata è il rotolo.

Inverno 2023

  • Avviamento al manoscritto miniato: Il corso intende introdurre i partecipanti alla conoscenza del libro miniato, servendosi di un approccio pratico per consentire di riconoscere le varie tipologie illustrative, la classificazione e la descrizione delle miniature. Le lezioni si svolgeranno mercoledì dalle 17.00 alle 18 e 30, dal 25 gennaio al 22 marzo.
  • Franciscan Sources 2023: In vista dei prossimi centenari francescani, che culmineranno negli 800 anni dalla morte (1226) e della canonizzazione (1228) di frate Francesco, la SPeS lancia il secondo ciclo interamente gratuito di seminari dedicati a tutte le fonti bio-agiografiche, cronache, compilazioni e documenti legati al Santo. I seminari del 2023 partiranno il 13 gennaio per un totale di sei appuntamenti a cadenza mensile
  • Paleografia pratica per tutti: Il corso intende introdurre neofiti della paleografia alla lettura di varie scritture attinte da varie tipologie documentarie dal XI al XVI secolo. Le lezioni avranno un approccio prevalentemente pratico e saranno accompagnata da esercitazioni a casa.

Autunno 2022

  • Avviamento allo studio del manoscritto: anche quest’anno è riproposto questo corso il cui fine è quello di fornire ai partecipanti gli strumenti delle discipline del libro, in particolare della codicologia, per introdurre alla catalogazione specialistica dei codici medievali. Il corso, tenuto da Adriana Paolini, si svolgerà ogni mercoledì dalle 17.00 alle 19.30 dal 28 settembre al 30 novembre 2022.
  • Arte e scrittura, rivolto a tutti coloro che operano a vario titolo e differente grado nel campo della storia dell’arte e del restauro. Il corso, tenuto da diversi docenti, si svolgerà in modalità mista, online e in presenza (presso l’Istituto di Norvegia in Roma) dal 3 ottobre al 28 novembre 2022, dalle ore 16.00 alle ore 18.00.
  • Workshop di paleografia musicale: si tratta di un laboratorio pratico, tenuto da Laura Albiero e Alessandra Ignesti, volto all’analisi approfondita di alcune notazioni neumatiche o di transizione e all’edizione di testi liturgico-musicali e al lavoro diretto sulle fonti. Si svolgerà ogni martedì dalle ore 17 alle ore 19.00, dal 11 ottobre al 13 dicembre 2022.
  • Catalogazione pratica per il libro antico. Strategie e consigli: il corso intende sviluppare (e/o far accrescere) quelle modalità e buone pratiche di indagine sull’esemplare necessarie prima di passare alla catalogazione vera e propria; si svolgerà in modalità intensiva sabato 15 e 29 ottobre, dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 17.30.
  • Incunaboli: descrizione e valorizzazione: il corso, teorico e pratico con esercitazioni online, mira a fornire strumenti di base per la descrizione degli incunaboli. Sarà diviso in cinque lezioni, che si svolgeranno tra il 14 ottobre e il 25 novembre 2022 dalle ore 17.00 alle ore 19.00.
  • Avviamento alle fonti liturgiche: si tratta di un laboratorio annuale, a cadenza mensile, che si svolgerà dal 28 ottobre 2022 al 23 giugno 2023 e che mira a introdurre i partecipanti alla conoscenza della liturgia medievale latina di rito romano.

I corsi continueranno anche nella primavera del 2023. Sono attualmente in programma:

  • Documenti, istituzioni e diritto;
  • Access per umanisti;
  • Avviamento all’uso di Classical Text Editor.

La lista è ancora provvisoria. Altre attività sono in corso di definizione e maggiori informazioni saranno disponibili nelle prossime settimane.

Se avete dubbi o domande sullo svolgimento dei corsi, consulate la nostra sezione FAQ!
Se invece siete interessati ad alcuni corsi svoltisi in passato, potete consultare la nostra sezione corsi on demand. 

Premio Maneant per il progetto “Rose che sprigionano”

Il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo ha ottenuto il premio Maneant della Fondazione S. Bonaventura per la sezione archivi. 

Il 9 e 10 dicembre nella Biblioteca fra Landolfo Caracciolo del complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore in Napoli si è svolta la seconda edizione di “SBAM: Incontri ravvicinati…“. Si tratta di due giornate organizzate dagli operatori dei beni culturali della Fondazione San Bonaventura (Biblioteche Archivi Musei) con il contributo delle associazioni del settore, delle Università e della Regione Campania. Il focus di questa edizione è la sostenibilità, intesa come sfida per la vita stessa degli istituti culturali ma declinata anche nelle diverse prospettive aperte dalla svolta digitale.

Il progetto ad essere stato premiato è “Rose che sprigionano”: è stato riconosciuto come una buona pratica capace non solo di valorizzare gli istituti culturali, ma anche di renderli fruibili all’esterno. Il progetto è collegato con la documentazione dell’Archivio Generale della Federazione delle Clarisse Urbaniste e con gli oggetti del Museo della Quotidianità. Prevede il recupero di pratiche artigianali monastiche attestate fin dal XVI per il confezionamento di rose di stoffe nelle quali venivano installati degli encolpi (con reliquia dell’abito di santa Rosa). Questa pratica dopo essere stata studiata è stata insegnata e recuperata fattivamente all’interno della casa circondariale di Viterbo a partire dal 2020.

Per il video della premiazione clicca qui (min. 20′.40”).

Per conoscere i progetti del CSSRV coi detenuti clicca qui .

Archivissima 2022: primo posto per il video realizzato dal CSSRV

Per il secondo anno consecutivo il video realizzato dal nostro Centro Studi per La Notte degli Archivi, organizzata nell’ambito dell’edizione del 2022 di Archivissima, è risultato tra i vincitori della Menzione di La Stampa per la realizzazione dei tre migliori video, posizionandosi addirittura al primo posto.

Un sincero grazie a tutti quelli che hanno collaborato alla realizzazione di questo progetto e a coloro che si occupano della conservazione, tutela e valorizzazione dell’Archivio generale della Federazione delle Clarisse Urbaniste d’Italia, la cui gestione è affidata al CSSRV.

Il video della proclamazione, a cura del vicedirettore de La Stampa Marco Zatterin, è disponibile a questo link.

Il video

Il filo conduttore dell’edizione di Archivissima 2022 è stato #change, il cambiamento. Per questa occasione attraverso il video dal titolo “Conservare il cambiamento. Cambiare la conservazione”, abbiamo deciso di narrare la storia dell’Archivio del Monastero di Santa Rosa attraverso i suoi documenti e i suoi inventari, fino al grande cambiamento nella gestione e nella conservazione della documentazione avvenuto nel 2017, quando l’Archivio è entrato a far parte dell’archivio di concentrazione della Federazione S. Chiara d’Assisi delle Monache Clarisse Urbaniste d’Italia, e al tempo stesso il Monastero è divenuto sede dell’Archivio generale.
Attraverso questo percorso per immagini, dalla voce di un singolo archivio giungeremo al coro delle voci di più archivi, che proprio attraverso il radicale cambiamento dovuto alla soppressione e al trasferimento della documentazione, sono ora pronte a narrare le storie di altre comunità.

Ricostruirsi intorno ad un tavolo

I progetti con i detenuti presso il carcere di Viterbo

Riportiamo l’intervento integrale tenuto dalla dott.ssa Eleonora Rava tenuto al convegno “Oltre la pena. Percorsi di accoglienza e inclusione nella realtà di Viterbo”, organizzato dal GAVAC (Gruppo Assistenti Volontari Animatori Carcerari) di Viterbo il 14 ottobre 2022. Si descrive le attività del Centro Studi con il carcere di Viterbo in questi ultimi anni.

Ringrazio gli organizzatori del convegno per averci invitato a comunicare la nostra esperienza all’interno del carcere di Viterbo.

Il Centro Studi Santa Rosa è un neofita in questo settore, potendo vantare solo qualche anno di attività all’interno del mondo carcerario, resa possibile grazie al coinvolgimento del nostro Centro a un progetto finanziato dalla Comunità Europa con una Marie Curie Individual Fellowship sul fenomeno della reclusione volontaria. I nostri interessi verso la popolazione carceraria erano a quel tempo esclusivamente di tipo culturale e scientifico: avere ‘esperti’ con cui confrontarsi su un tema di nostro interesse.

Il Centro Studi Santa Rosa nasce, infatti, come istituto di ricerca costituito da professionisti dei beni culturali (storici, paleografi e diplomatisti, archivisti, filologi, storici dell’arte) per la tutela del patrimonio storico artistico e documentario della Federazione S. Chiara delle Monache Clarisse Urbaniste d’Italia e in particolare del monastero di Santa Rosa. Oltre ad assicurare la gestione e la tutela del patrimonio della Federazione, svolge un’intensa e larga attività culturale, che si articola in convegni scientifici e divulgativi e iniziative di ricerca.

Dopo quel primo approccio con il mondo carcerario le cose sono cambiate e all’interno dell’attività di valorizzazione di questo ingente e ricco patrimonio delle Clarisse Urbaniste sono stati strutturati progetti dedicati a persone in condizioni difficili, in particolare i detenuti. Le persone detenute sono state coinvolte in due distinti progetti, uno di recupero delle attività artigianali tipiche del monastero di Santa Rosa, l’altro di edizione di testi manoscritti. Entrambi i progetti sono stati pensati per arricchire la formazione personale del detenuto attraverso percorsi esperienziali con valenza socioculturale; per favorire la libera espressione del detenuto oltre che per coinvolgere il detenuto in attività di studio e ricerca.

Il primo, Rose che sprigionano. Attività artigianali per l’integrazione sociale, è un progetto che si sta conducendo da due anni presso la Casa Circondariale di Viterbo. Il primo anno è stato finanziato dalla Regione Lazio e grazie al contributo ricevuto è stato possibile retribuire i 5 partecipanti; l’anno successivo e l’anno in corso sono invece stati finanziati dal Centro Studi e i detenuti esplicano una attività di puro volontariato. 

Il progetto Rose che sprigionano ha previsto e prevede incontri formativi e attività pratiche tese a insegnare ai detenuti lavorazioni tessili artigianali plurisecolari – in particolare quella della produzione di rose di seta reliquiari delle clarisse di Santa Rosa – che possano garantire loro, una volta tornati in libertà, una via di accesso al mondo del lavoro – per esempio nel settore di finiture per abiti di sartoria e di complementi d’arredo.

Le rose di stoffa prodotte dai detenuti vengono donate al monastero di Santa Rosa di Viterbo, dove entrano a far parte degli oggetti devozionali legati al culto della patrona viterbese, richiestissimi dai fedeli soprattutto in occasione della festa settembrina. In questo progetto sono attualmente coinvolti 16 detenuti dell’alta sicurezza.

Ogni persona detenuta ha trovato, con l’aiuto dei formatori, il proprio ruolo all’interno di questo progetto, mettendo in campo capacità manuali fino ad allora silenti. La progettazione e la costruzione di un oggetto ha portato ad una sempre crescente gratificazione personale e allo stesso tempo ha consentito a ciascuno di specializzarsi in un aspetto (colorazione dei petali, formatura delle foglie, montaggio della corolla, packaging, ecc.) sviluppando un forte senso per il lavoro di squadra. Questo è uno degli obiettivi principali raggiunti dal progetto. Le persone detenute sono diventate un gruppo di lavoro integrato. Ciascuno di loro ha acquisito un ruolo in una ideale catena di montaggio avendo cura di rispettare il lavoro degli altri e insegnare al compagno come migliorare la fase di lavorazione assegnata. Con grande spirito critico ognuno ha riconosciuto i propri limiti, ma ha soprattutto messo a fuoco le proprie capacità tecniche e artistiche sino ad allora perlopiù celate.

Con il secondo progetto, Esperienze di reclusione, si è inteso invece arricchire la formazione personale dei detenuti coinvolgendoli nello studio della documentazione conservata presso l’Archivio della Federazione. Attraverso l’attività di trascrizione di manoscritti i detenuti sono stati sensibilizzati verso le antiche scritture: si è insegnato loro a leggere, a trascrivere e a fare edizione di fonti. In particolare i detenuti sono stati invitati a trascrivere un codice manoscritto del monastero delle Cappuccinelle di Aversa databile al XVII secolo. Si tratta di un codice in volgare che elenca mese per mese l’organizzazione interna, gli usi liturgici e alimentari della comunità monacale.

L’idea di far lavorare dei detenuti su fonti monacali nasce dalla constatazione delle analogie nelle dinamiche di gruppo che sussistono all’interno delle due istituzioni totali, il monastero e il carcere. Esistono a riguardo importanti progetti internazionali come quello francese condotto sotto la direzione di Isabelle Heullant-Donat, Enfermements. Histoire comparée des enfermements monastiques et carcéraux, che ha lo scopo precipuo di evidenziare le specificità e le relazioni tra reclusione religiosa monastica e l’incarceramento.

Lo scopo del progetto è stato quello di comprendere insieme ai detenuti il fenomeno della reclusione volontaria monastica; il rapporto tra reclusione volontaria, quella delle monache, e involontaria, quella dei detenuti, con l’obiettivo di fornire a quest’ultimi una nuova prospettiva della reclusione rispetto alla loro personale esperienza: la detenzione come un’opportunità, piuttosto che come una pena. Questo è stato possibile perché la distanza non solo temporale tra i detenuti e la fonte analizzata ha favorito i detenuti a lavorare su se stessi e sulla loro condizione di reclusi.